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Roberto Benigni "Il mio nuovo vecchio amico Pietro"

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In un colloquio con il direttore de «L’Osservatore Romano» Roberto Benigni racconta il suo rapporto speciale con il primo degli apostoli.

Parla come un innamorato Roberto Benigni, freneticamente. Lo ha fatto per oltre due ore il 10 dicembre parlando a milioni di spettatori ma ancora continua a farlo anche nei colloqui privati, uno a uno, faccia a faccia, come fosse preso da un'urgenza, dire al mondo del suo innamoramento, del suo nuovo vecchio amico, Pietro, il pescatore di Cafarnao. Allora è facile colloquiare in queste condizioni, basta dargli il “la” e il concerto può partire. 

Ma come è nata questa amicizia “triangolare” tra te, Pietro e Gesù? 
Proprio così Pietro è il migliore amico di Gesù, ma adesso è diventato anche il mio migliore amico. Tutto è successo tanto tempo fa. Viene da me il grande regista texano Terrence Malik de L’albero della vita e de La sottile linea rossa e mi dice che sta girando un film su san Pietro e mi propone di fare nientemeno che la parte del diavolo, il tentatore. È da allora che ho cominciato a leggere testi, libri, su san Pietro e così ho cominciato a innamorarmene perdutamente. 
Perché non è come Paolo, l’intellettuale, il grecizzante Paolo, né come Giovanni, il mistico, è Pietro. Era il mio babbo, un contadino, un pescatore. È un uomo vero, che sbaglia, che poi si pente, che piange e che non sa cosa fare. Ho detto: mamma mia, come è nel mio cuore, come gli voglio bene! E poi immaginarci che aveva ventott’anni, ventinove.. quando ha conosciuto Gesù, più o meno la stessa sua età, erano tutti ragazzi, questa è una storia di ragazzi, una storia meravigliosa, con tutte le loro emozioni, i loro sentimenti, un gruppo di ragazzi che volevano conquistare il mondo ...e l’hanno fatto! 

Un gruppo di ragazzi, mi fai venire in mente che durante il monologo hai citato la rivoluzione francese: beh, anche quella è stata fatta da un gruppo di ragazzi, Robespierre e gli altri erano tutti per lo più ventenni, tutti. Ma qual è la differenza? Tu lo accenni, quando parli della grande rivoluzione del cristianesimo.. 
No, no.. la Rivoluzione francese fu una cosa immensa Liberté, egalité, fraternité erano dei principi enormi dal punto di vista politico, storico, quello è stato un momento altissimo della storia dell'umanità. Io dico solo che mi viene da ridere in confronto alla rivoluzione che ha fatto Gesù. Perché quella di Gesù è stata l’invenzione dell’amore e quindi anche della fraternità e della solidarietà. 
Perché il Cristianesimo non è un’adesione a certe regole, ma una rivoluzione d’amore. A Gesù non sarebbe mai venuto in mente di usare la ghigliottina contro i suoi nemici, perché ha detto la frase più sconvolgente, più alta e più memorabile della storia dell’umanità e dell’umano pensiero: «Ama il tuo nemico». È una frase che divide in due l’umanità. Una frase altissima e noi non ci arriviamo appunto perché troppo alta. Ma qualcuno l’ha detta e l'ha detta per sempre. Quella rimarrà per sempre. Ama il tuo nemico, è una cosa che non sta dentro al nostro cuore, una cosa di una bellezza meravigliosa. E come si fa allora a non voler bene a Pietro, il migliore amico di uno che ha detto una cosa così. 

Pietro, “un uomo nel vento” lo hai chiamato. Forse questo vento è l’amore di cui stai parlando? 
Beh, sì, è un po’ il segreto di Pulcinella. Se ne parla dall’inizio alla fine e sta lì, sotto tutto il resto. Che cos’è questa forza che ha preso Pietro dal suo piccolo borgo ai confini dell’impero fino al centro del grande impero, e glielo ha fatto conquistare? Una forza immensa. Una cosa nuova perché Pietro non conosceva l’amore, per il semplice fatto che lo inventa Gesù, lo fonda. Prima non c’era. 
Non solo Pietro, non lo conosceva nessun altro al mondo. Si conosceva la carità, quella di san Paolo, ma l’amore in senso moderno come lo intendiamo noi, l’ha inventato Gesù. Quando si dice «ti amo», quando diciamo «l’amore», questo amore che oggi abbiamo è una cosa inventata da Gesù. E Pietro lo scopre insieme a Gesù e forse solo alla fine se ne rende conto. Infatti gli dice «ti voglio bene». Lì, sul lago di Tiberiade, con Gesù risorto, Pietro non riesce a dire «ti amo» perché non sa cos’è, non riesce, è come impacciato, non sa, non vuole dirlo. Ho voluto qui ricordare con un richiamo biografico su mio padre, che per quella generazione era un po’ una vergogna, una debolezza, dire «ti amo». Invece, appunto, Pietro alla fine lo dice, ripete, ed è la cosa più coraggiosa del mondo Ci vuole un coraggio a parlare d’amore, un coraggio enorme, l’amore, dire, farlo, è la cosa più coraggiosa del mondo. E così Pietro scopre l’amore. Per questo il monologo finisce appunto con quella parola: «Ti amo». 

Ti cito un poeta che forse conosci, «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Sta parlando dello stesso amore Dante, una forza che agisce, che muove tutto quanto. È questo l’amore, una grande forza? Eppure se noi oggi chiediamo cosa sia l’amore tutti, i ragazzi come gli adulti, rispondono che è un sentimento. Ma c’è ben altro, giusto? 
Certo, ma attenzione, l’amore è anche follia, come ha ricordato Platone. E Platone, non ci dimentichiamo, è l’inventore della ragione. Adesso, se l’inventore della ragione dice che l’amore è follia, lo dice a qualcuno che sa bene le cose. Che l’amore è quello di cui parla Dante, è proprio quella forza che «move il sole e l’altre stelle». Quella di Dante è la definizione di Dio, sta dicendo: Dio, due punti, è «l'amor che move il sole e l’altre stelle», Dio è il motore dell'universo. Non tanto il motore immobile di Aristotele, no, è un’altra cosa. È proprio questa forza, quella che dice Gesù quando dice «una forza è uscita da me», nell’episodio dell’emorroissa. E poi c’è l’amore di Paolo e Francesca, «Amor che nullo amato amar perdona». Quando Gesù sente che una forza è uscita da lui per questa donna che tocca il lembo del mantello, capisce che è amore che ha profuso amore, che tutto questo è amore e nessuno che è amato permette il non riamare. Quella stessa forza torna indietro quando si ama. Quell’amore non finirà nei rifiuti del tempo, ci sarà per sempre, per l’eternità. Voi amate e quell’amore resterà per sempre e vi sarà restituito. Tornerà indietro. È una cosa immensa. 

L’amore come il motore di tutto. La domanda con cui il monologo comincia è “ma cosa ha spinto Pietro?”. Perché Pietro è qui, è sepolto a Roma, ma fino a metà della sua vita era lì, in Palestina, un tranquillo pescatore, per quanto nervoso, magari anche scorbutico, ma un semplice pescatore. E allora cosa ha spinto quell’uomo a morire qui a Roma? Deve essere stato qualcosa di forte, come un big bang, un’esplosione che lo ha sospinto fin qui. 
Esatto: cosa è accaduto? Cosa è avvenuto quando ha incontrato quell’uomo che lo ha guardato e che in un momento gli ha detto chi era, chi è e chi sarà, cambiandogli anche il nome? E Pietro lo ha lasciato fare, non si è mosso, anche perché non sapeva cosa fare. Come quando cammina sull’acqua e all’inizio cammina anche lui. Quella è l’immagine di Dio e del suo amore: se tu ti lasci andare, ti abbandoni con fiducia, è come il mare, ti sorregge; ma se ti ci metti a pensare allora cadi e sprofondi. In amore ti devi lasciare andare. Questa forza potente dell’amore l’ho scoperta anch’io con Pietro, grazie a lui. 

Tutto nasce quindi da un incontro ed è bella la frase che citi nel monologo: le cose importanti della vita non si insegnano né si apprendono, ma si incontrano. Tutto lì, il segreto è in un incontro, in un incrocio di sguardi. 
Proprio così, la bella frase di Oscar Wilde è una frase bellissima perché è vera. Gli incontri che facciamo cambiano la vita. Le altre cose servono, tanto, tantissimo, però ciò che conta è che quelle cose le abbiamo apprese in un incontro dove qualcuno, con il suo sguardo, il suo stile, ce la ha insegnate. Così è stato tra Pietro e Gesù, un incontro lungo alcuni anni, in cui in fondo gli ha insegnato tante cose che sono una: come amare. 

Nel monologo fai capire che se c'è una cosa che insegna il cristianesimo, il “segno” che questa fede ti lascia è che comincerai a guardare gli altri non più con distrazione, ma come “scrigni”, come depositari di un mistero immenso. 
È così. Quando ho letto il Vangelo, si fa questo incontro che cambia la vita. E quando io l’ho letto e l’ho riletto, ho sentito che è accaduto qualcosa e non ho guardato più le persone con distrazione, così come se niente fosse, ma guardo ognuna di loro come scrigno di un mistero, come depositario di un destino. Le persone, chiunque, vedo una persona e mi dico: questa persona lo aspetta un destino che non finirà mai più, per l’eternità. È impressionante. E vale per ognuno di noi, anche se le nostre notti, i nostri giorni, diciamo, non paiono eccezionali a nessuno. Ognuno di noi è il protagonista di una storia che non si ripeterà più per l’eternità. Unica, immensa, memorabile. 

Ma Pietro, che è Simone, noi lo chiamiamo san Pietro, ma scusa, che santo è? È uno che ha solo sbagliato, non ne azzecca una! 
Esatto, e lo amiamo proprio per i suoi sbagli, per le sue gaffes. Quanto è vicino a noi Pietro che non capisce quasi niente! Anch’io quante volte leggendo il Vangelo mi dico: questa non l’ho capita e non trovo nessuno che me la spiega, come Pietro.. Ci voleva Gesù in persona per farlo. E come ha detto a lui dice a me: ma sei proprio duro, un testone! E poi anch’io come Pietro l’avrei rinnegato, perché non avrei sopportato il dolore del supplizio, della crocifissione. E se fosse andata diversamente, se fosse morto anche lui, Pietro, allora non sarebbe nato il cristianesimo. Quindi Gesù lo guarda con uno sguardo d’amore, sconvolgente. Lo ama perché lo ha rinnegato, sì, anche perché lo rinnega. Ma quante ne combina Pietro? Si addormenta, agisce d’impulso, fa solo grandi confusioni.. È veramente uguale a noi, divertente, profondo e commovente. 



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