Massimo Recalcati "Lo zar e i suoi figli uccisi due volte"
La Stampa, 12 marzo 2022
La cinica propaganda del regime putinano vuole cancellare dal linguaggio dei suoi media il reale
traumatico della guerra, trasfigurando la tragedia in corso in terra ucraina in una «operazione
speciale». Si tratta di una strategia che riflette più in generale la pratica sistematica, esercitata da più
di un ventennio, della censura e della repressione del dissenso. Solo che in questo frangente il dissenso
ha trovato come suo inquietante alleato la sagoma della morte: quella dei soldati russi caduti sul
fronte. Cosa fare dei corpi dei soldati morti? Giovani mandati ignari e impreparati al fronte di una
lurida guerra di aggressione. I loro resti sono la denuncia più assordante nei confronti del regime di
Putin, lo svelamento della menzogna che vorrebbe negare l’esistenza della guerra. E’ per preservare
questa menzogna che il dittatore vorrebbe cancellarli, renderli invisibili, farli evaporare. Non ci
saranno, infatti, funerali per le vittime russe di guerra; nessun rito di sepoltura, nessun congedo
simbolico, nessuna cerimonia di addio. La violenza dell’ideologia infligge così una “seconda” morte
alla “prima morte” uccidendo per due volte i figli del suo popolo.
Questa «seconda morte» è, se possibile, ancora più disumana della prima. Cancellando i loro corpi,
impedendo loro di essere riconosciuti e salutati per un’ultima volta dai loro cari, vuole manipolare
orwellianamente gli eventi della storia. Come insegna Antigone, l’assenza di rispetto per i vivi si
rivela pienamente nell’assenza di rispetto per i morti poiché è la morte a rivelare la natura pienamente
umana della vita. Il Novecento ci ha fornito esempi tragici e mostruosi di questa «seconda morte»
che si sovrappone alla prima per cancellarne le tracce. Oggi la morte di giovani vite stroncate dalla
follia restauratrice del dittatore deve essere occultata per non creare panico nella popolazione, ovvero
per non rivelare la verità rimossa nella formula retorica della «operazione speciale». I cadaveri dei
soldati al fronte non possono essere mistificati, non possono subire la manipolazione della
propaganda, non possono essere ignorati perché strapperebbero il cuore delle loro madri e dei loro
padri, dei loro fratelli e delle loro sorelle. Sono proprio questi corpi morti i testimoni infrangibili
dell’esistenza della guerra. Dobbiamo provare a dare il giusto peso a questa ennesima atrocità e
leggervi la cifra più profonda dell’ideologia: di fronte all’altare dell’Idea la vita e la morte degli
uomini non significa nulla. Ma il carattere spietato di questo tentativo (impossibile) di negazione della
morte rivela probabilmente anche uno dei tratti più essenziali della psicologia di Putin come, del
resto, di ogni dittatore: l’Ideale (della grande Russia) non può essere macchiato né ostacolato
dall’orrore della morte. Non è escluso che questa negazione della morte riguardi la vita personale di
Putin, il cui corpo (malato? invecchiato? sofferente?), come quello di tutti gli esseri umani, è
fatalmente intaccato dalla morte.
Sarà questa prossimità alla propria morte (marchio del limite che rende ogni vita finita) a spingerlo a
calpestare ogni limite, ogni confine, ogni diritto, ogni Legge? Sta rivendicando così, spargendo la
morte ovunque, la negazione maniacale della propria morte? Sta minacciando il mondo con una
guerra atomica per manifestare la propria assoluta onnipotenza (irrealistica) di fronte alla morte? Non
lo sappiamo, né possiamo saperlo. Ma quello che sappiamo sul destino dei giovani russi morti in
battaglia è già sufficiente: il fanatismo dell’Ideologia rende la vita insignificante subordinandola
strumentalmente ai propri interessi generali; l’Idea (restaurare l’Impero della grande Russia), come
tale, rifiuta sempre la morte. Ci vorrebbe allora davvero il grido di una giovane Antigone che
rivendicasse nel suo paese almeno il diritto alla sepoltura dei fratelli morti. Ci vorrebbe il grido di
una giovane Antigone ad esigere che i loro corpi non spariscano nel nulla, che non siano inceneriti
nel vuoto. Sarebbe davvero necessario che questo grido diventasse quello di un intero popolo – quello
russo - che provasse a liberarsi dal giogo mortale di un regime nemico della libertà: la denazificazione
non è un problema dell’Ucraina ma della Russia putinana.