Enzo Bianchi "Chiudiamo le Rsa Ma per sempre"
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose
In questi giorni di recrudescenza della pandemia non si può tacere un dramma vissuto da molti,
benché sia il più possibile occultato. Un dramma carico di dolore e sofferenza, di fronte al quale è
nostra responsabilità reagire, per quanto possibile, in modo da contrastare il male che colpisce
persone, famiglie e convivenze. Un dramma che non osservo dall’esterno ma nel quale mi sono
trovato coinvolto in prima persona.
Una persona a me familiare, vedova e senza figli, verso gli ottant’anni è stata colpita da demenza
senile.
Fino ad allora autonoma e piena di forze, seppur in una vita solitaria in casa, riusciva a vivere in
pienezza relazioni con i vicini e i compaesani. Siccome nessuno poteva ospitarla, le si è provveduta
una badante, ma la malattia, con manifestazioni anche violente, non permetteva questo tipo di
assistenza. Così la si è dovuta per forza portare in una Rsa, dove però è peggiorata, sempre più
estranea a questo mondo e, pur visitata da parenti, ha deciso di rifiutare il cibo fino a morire.
«Non si poteva far altro», abbiamo detto tutti, con l’esperienza di aver accettato nei decenni
precedenti questo cammino per molti dei nostri vecchi. Gli anziani sono ritenute persone che stanno
per uscire dalla vita, e ad essi non solo non si riconosce più la saggezza dell’esperienza ma vengono
considerati unicamente dal punto di vista demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla società
a livello medico; quale impegno comporta la loro assistenza; quale costo rappresentano per la
società.
Molti sono soli, abbandonati, senza nessuno che li cerchi o li riconosca, invisibili e quasi senza
nome, visto che nessuno più li chiama. In quest’ora di pandemia vivono la clausura e, nonostante
quanto si è vissuto in primavera e la previsione della seconda ondata, nulla è stato approntato
affinché l’isolamento potesse essere alleviato da possibili visite, in strutture apposite che
permettano, senza il pericolo del contagio, di incontrarsi, vedersi, sorridersi e parlarsi.
E così la solitudine imposta diventa desolazione e ben presto disperazione. Sono queste le parole
che ascolto più spesso da quegli anziani che mi telefonano dalle Rsa per sentire una voce amica.
Forse perché ho molto ascoltato il grande teologo e visionario Ivan Illich, mio amico, ho sempre
diffidato della "istituzione della carità": non solo perché è una carità "presbite", che demanda ad
altri di stare vicino a chi noi teniamo lontano, ma perché istituzionalizzare orfani, malati e anziani
significa ritenerli scarti, fuori dal giro della vita.
Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanotrofi: cerchiamo di chiudere
presto anche le Rsa! Contrastiamo la follia che ci conduce a una vecchiaia artificiale di solitudine e
di non vita, impegnandoci a percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini
protetti, comunità, domiciliarità.
Altrimenti succederà sempre più ciò che molti vecchi mi hanno confidato: chiedono di non venire
più curati e di essere lasciati morire al più presto. Povera umanità!