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Chiara Giaccardi e Mauro Magatti “Nella fine è l’inizio”

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Nella fine è l’inizio”: questa frase di Thomas S. Eliot dà il titolo al libro che i coniugi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, docenti all’Università Cattolica di Milano, hanno recentemente pubblicato per Il Mulino con l’intento di leggere “in che mondo vivremo” dopo lo scoppio della pandemia. Ed è anche il tema che hanno affrontato in un’intensa giornata di dialogo a Bose domenica 7 novembre 2021.

La pandemia, infatti, dalla quale non siamo ancora usciti, costituisce il terzo grosso shock che ha colpito la società globale negli ultimi vent’anni, dopo l’11 settembre e la crisi finanziaria del 2008.

Mauro Magatti ha posto in evidenza cinque retroscena che avrebbero già potuto suonare come preallarmi per la crisi incombente: il difetto cognitivo nel leggere la realtà, il mito globalista e quello speculare localista che ignorano l’ambivalenza della dimensione dei confini e dei limiti, la constatazione del nostro essere individui non indipendenti ma in relazione con gli altri persino a partire dal respiro stesso, la tragica logica sacrificale che produce scarti e infine la rimozione del nostro essere mortali, quando invece, secondo le parole di Umberto Saba “È il pensiero della morte che alla fine aiuta a vivere”.

Chiara Giaccardi ha ripreso questi cinque retroscena leggendo e interpretando quel “rovesciamento” che ogni “catastrofe” etimologicamente rappresenta. La fine di “un” mondo, infatti, non è per ciò stesso la fine “del” mondo. Così, a partire dal paradosso come elemento costitutivo di ogni vita umana, è stata proposta una “odologia”, una sapienza di cammini diversi che sta a ciascuno di noi e alla società come corpo intraprendere: la resilienza come capacità di ribaltare la morte in vita, l’inter-indipendenza come consapevolezza di essere tutti legati tra noi e con le generazioni che ci hanno preceduto e che verranno dopo di noi, la responsività come capacità che va oltre la responsabilità di chi risponde di sé e diviene capacità di rispondere al legame che unisce agli altri, la cura che, partendo da un cuore che si scalda per l’altro quando finalmente accettiamo di vederlo, diviene sollecitudine e impegno anche politico per lenire le sofferenze e, infine, la pro-tensione che libera il futuro da un fatalistico “divenire” per trasformarlo in un “avvenire” per il quale osiamo rischiare l’avventura.

Nel pomeriggio un denso dibattito con la settantina di ospiti presenti ha permesso di condividere quella ricerca della verità che anima i nostri giorni sulla terra e di evidenziare l’opportunità e la responsabilità che in questo contesto ricade sulle persone e le comunità di fede, in particolare su quanti cercano di seguire le tracce di Gesù Cristo e della buona notizia evangelica.

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