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Commento al Vangelo della Domenica di Giancarlo Bruni (8° Domenica T.O.)

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Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all'Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose. Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI). Il suo impegno nel diffondere una spiritualità biblica mai separata dalla realtà quotidiana e dalla storia, lo ha fatto conoscere come uno degli autori italiani più apprezzati nell'ambito religioso. E’ docente di ecumenismo presso la pontificia facoltà teologica “Marianum” di Roma. Tiene corsi e conferenze in varie parti di Italia e all’estero.
Guarire dall’affanno per l’avere
27 febbraio 2011 . Letture: Is 49,14-15; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34. «Guardate gli uccelli del cielo»


1. Sono molti i modi di leggere il denaro: radice di tutti i mali, semplice strumento o sola ragione per cui vale la pena di vivere. Il Vangelo odierno si riferisce a questo terzo approccio parlando della ricchezza come padrone amato totalmente dediti al suo servizio (Mt 6,24), ove ricchezza traduce il vocabolo «mammona» a voler dire denaro iniquo e potente al punto da assoggettare il mondo (Lc 16,9) e da convincere di essere l’unico deposito in cui riporre sicurezza. Il messaggio di Gesù è chiaro nel sottolineare che la ricchezza ha in sé il fascino di imporsi alla coscienza dei singoli e delle nazioni come l’assoluto verso cui far tendere il desiderio, il pensiero e l’azione. Una vera religione: non avrai altro «dio» all’in fuori del denaro, lui solo amerai e cercherai, e in null’altro troverai felicità, sicurezza e ebrezza di onnipotenza e di immortalità.

In questa prospettiva, biblicamente la grande idolatria, l’essere è fatto coincidere con l’avere: «ho, dunque sono», e l’esistere con l’«affanno» per l’avere e il senso dato a vivere in una ininterrotta « acquisizione» dell’avere, in cui stà la propria verità e il proprio gaudio. In breve la propria salvezza. Per questo la ricchezza iniqua viene come personalizzata e detta « padrone» del villaggio globale, il totem in cui l’uomo pone il proprio atto di fede, di speranza e di amore divenendone fedele discepolo e servitore. In questo senso, prosegue Gesù, essa è l’idolo radicalmente opposto a Dio, quindi «aut-aut», «o-o». Si tratta per il discepolo e potenzialmente per ogni uomo di porsi la domanda decisiva di chi sia il determinante il proprio cammino: o Dio e il suo modo di leggere il denaro o Mammona. Gesù è tagliente a proposito, non si danno aggiustamenti e compromessi, e la sua parola provoca e interpella nel momento stesso che si consegna all’udito: decidi chi è il tuo « Dio», chi il tuo maestro di sapienza a proposito della declinazione del verbo « avere».
2. Sia chiaro, a scanso di equivoci, che Gesù non intende introdurre al disprezzo dei beni, semplicemente vuole fornire la chiave di lettura di essi: « Cercate invece,anzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). A voler dire: Dio e ciò che è giusto secondo Dio sia il compito centrale della vostra ricerca, una realtà non lontana ma resa vicinissima a ogni generazione da Gesù e dal suo Vangelo. Ove ciò accade, cioè ove Dio regna, lì il disincanto dalla illusione del primato dell’avere si adempie e i beni vengono restituiti alla loro verità. Essi sono dono: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6,11) da usarsi con misura: «secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,45) e nella logica della condivisione: « la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza» (2 Cor 8,14) «facendo uguaglianza» (2 Cor 8,13), e questo «non con tristezza, né per forza» (2 Cor 8,8) ma a «prova della sincerità del vostro amore» (2Cor 8,8), a segno di un cuore in Dio e non in Mammona. E ancora, lì la guarigione dal grande male dell’affanno si compie.
A ben vedere Gesù nel brano evangelico odierno pone in primo luogo una sorta di gerarchia delle priorità: Dio, la persona nella sua concretezza di vita e i beni riassunti nel cibo e nel vestito, e «Dio sa che ne avete bisogno» (Mt 6,32). A questa scaletta succede il ricorso voluto agli uccelli del cielo e ai gigli del campo, non a esortare alla noncuranza e alla pigrizia a proposito della quale valgono sempre le seguenti parole di Paolo: «esortiamo e ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità» (2 Ts 3,12), ma a suggerire l’ingresso nell’ambito della libertà dall’ansietà. Il lavoro, scrive Girolamo, è da compiersi, l’affanno è da togliersi.
3. Dinanzi a questa parola di Gesù siamo costretti ad ammettere di essere «gente di poca fede» (Mt 6,30), titubanti dinanzi all’imperativo di non vendere la propria anima a Mammona e di non preoccuparsi facendo sforzi inutili per arricchire (Mt 6,28.31). Eppure il pagano-mondano che è in noi (Mt 6,32) dovrebbe sapere come la ricchezza convertita in idolo porti alla cecità, all’isolamento e all’insicurezza ansiosa. Alla non vita tipica di chi vede solo i beni, incapace di relazioni gratuite che non siano determinate dalla convenienza, dallo sfruttamento e dalla competizione; una vita nell’insicurezza a motivo dei ladri dai molti nomi e dall’affanno per cose mai bastanti e mai sicure.
Non resta che la preghiera: « Aiuta la nostra incredulità a credere» alla promessa del Padre di Gesù, a ogni giorno è dato in tranquillità e pace il necessario di ogni giorno a chi legge sé stesso e ciò che ha come dono della passione d’amore di Dio per i senza amore e i senza pane. Come già aveva compreso Rabbi Eliazar commentando Esodo 16,4: «Chiunque ha da mangiare per oggi, e si domanda che cosa mangerà domani, è un uomo che manca di fede».
 
Fonte: novena
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