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Enzo Bianchi "Quella protesta che sale al Signore"

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Dio preferisce la contestazione del credente alla sua rassegnazione, la protesta all’inazione. Un modo diverso, sempre valido, di dialogare con lui. 

Famiglia Cristiana - 14 Settembre 2025 

A volte ascolto cristiani che mi confidano la loro vita intima di preghiera e mi confessano di avere momenti in cui si rivoltano contro Dio, protestano, si arrabbiano fino a bestemmiarlo. Non mi scandalizzo perché conosco preghiere dell’Antico Testamento che Dio gradisce, e alle quali risponde, che hanno questi toni. L’ebreo che prega conosce nella preghiera con Dio addirittura la rib, la contesa in cui contesta Dio dicendogli che non è stato fedele alle promesse, che non è rimasto vicino nell’ora della prova, che ha abbandonato il credente nella tentazione. Arriva a dire a Dio: “Tu sei un orso per me... Tu mi assali come un leone... Tu mi abbandoni in mano ai nemici, mi sprofondi nel buio della fossa”. 

Sono bestemmie? È per mancanza di fede? Non è detto! Nella preghiera del povero, del perseguitato, del sofferente possono essere indirizzate a Dio grida che sembrano bestemmie: sono sfoghi umani che scaturiscono dal male sofferto ma si vuole portarli davanti a Dio perché veda, perché abbia pietà, perché intervenga. 

C’è una rassegnazione cristiana che Dio non gradisce perché preferisce qualche volta la contesa con lui, fatta lealmente usando l’intelligenza e soprattutto nella convinzione che a Dio si può parlare come a un amico e a volte sfogarsi. In questa contesa nella preghiera con Dio comunque ci accorgiamo che non è Dio che sta lontano, che non ci parla, che ci fa del male ma siamo noi che siamo sordi, che stiamo lontani da lui e ci facciamo del male da noi stessi, da soli. Giobbe e Geremia quando maledicevano il giorno in cui Dio li aveva fatti nascere pregavano, non bestemmiavano.
 


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