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Vito Mancuso “Chi è l’essere umano?”

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intervista a Vito Mancuso
a cura di Maurizio Gelatti
19 settembre 2025

Da laico, Corrado Alvaro ha definito l’uomo “il prodotto dei suoi errori”. Venerdì 19 settembre, seconda giornata del festival di Paideia, alle 17,30 al Conservatorio Giuseppe Verdi, il quesito “Chi è l’essere umano?” è stato la base del dialogo tra il teologo e filosofo Vito Mancuso e Andrea Malaguti, direttore de La Stampa.


Vito Mancuso, partiamo dal principio: chi è l’essere umano? «È il fenomeno più stupefacente che l’universo abbia prodotto nella sua evoluzione. Il fenomeno più incredibile a noi conosciuto. Mi stupisco dei buchi neri, mi stupisco dell’immensità cosmica, mi stupisco degli abissi marini, mi stupisco dei colori, ma lo stupore misto a meraviglia da un lato e indignazione dall’altro che il fenomeno umano produce in me, è unico». Viviamo in una società che rifugge il non conforme. Quanto è difficile considerarsi umano al 100 per cento, ad esempio, per una persona disabile? «Per una persona disabile non credo ci sia tempo più propizio dell’oggi per considerarsi umano, perché se andiamo a vedere il passato non c’è praticamente società che non abbia considerato le persone disabili per nulla persone. Venivano chiamati mostri dai nostri padri latini. Mostri anche da Cicerone. Ci sono ancora molti passi da fare. Però mentre nei secoli passati si aveva un concetto di umanità, molto standardizzato, dentro cui i singoli dovevano stare e se non stavano non erano umani, oggi mi pare di poter sostenere che il discorso sia capovolto. Si dà un assoluto primato al singolo e semmai si mette in discussione il concetto generale di umanità». Ma perché, allora, ancora in tanti stigmatizzano la disabilità? «Perché esiste l’istinto del gregge, l’istinto del clan, l'’istinto del noi tutti uguali, che ci vestiamo tutti uguali, che diciamo le stesse cose, gli stessi slogan, che amiamo e odiamo le stesse cose e che, quindi, tendiamo a voler escludere chi sfugge da questi confini». L’AI è nemica dell’essere umano? «Dipende chi la usa e da come si usa. Utilizzata dai medici, dai ricercatori, da coloro che combattono le malattie per esempio o da esperti del settore che sfruttano professionalmente lo strumento, non è una nemica. In caso contrario c'è la possibilità che l'intelligenza artificiale - come scrivevo su La Stampa alcuni mesi fa - favorisca la stupidità naturale». L’etica può essere un antidoto alla violenza che non accenna a diminuire? «È l'unico antidoto con la cultura». È più importante capire noi stessi o gli altri? «Le due cose sembrano separate, ma poi alla fine non lo sono. Perché se uno ritiene di capire sé stesso, a prescindere dalle relazioni con gli altri, cade nell’autocompiacimento che non consente di comprendere nessuno. È capendo gli altri ed è capendo ciò che non capisco degli altri, ciò che mi irrita degli altri, che io capisco me stesso nei i miei punti peculiari, sia di forza sia di debolezza». La religione o la filosofia sono le uniche strade per riuscire ad accettare la morte? «La religione e la filosofia sì, ma se le consideriamo al plurale. E sono per me l’unica strada. Rendono chiaro che è la conoscenza che ti fa accettare il male, il dolore e la morte». Religione e politica dovrebbero essere due mondi separati e invece ancor oggi appaiono quanto mai connessi. È così? «Religione e politica in realtà non sono mai stati mondi separati perché la mente umana è una sola e, quindi, la politica ha bisogno di una fondazione che spesso ha avuto una valenza religiosa. Tutte le costituzioni prima del Novecento cominciavano invocando Dio. Il problema nasce con la “partitica” per usare un brutto neologismo ma che dà l'idea. Quando le Chiese e nella fattispecie la Chiesa cattolica - soprattutto al tempo della Democrazia Cristiana – non erano più super partes ed entravano a gamba tesa nella vita politica in modo non etico ma opportunistico. Tutti glie estremismi sono pericolosi anche quelli religiosi e quando arrivano al potere trascinano gli Stati e le persone in baratri sanguinosissimi come sta accadendo al governo israeliano». Nel 2021 ha dichiarato che “la Chiesa dovrebbe comprendere le persone omosessuali senza nostalgia per i roghi del passato”. La pensa ancora cosi e soprattutto che da allora la situazione sia cambiata? «È chiaro che la penso ancora così e ritengo la situazione sia migliorata tutto sommato anche grazie al pontificato di Papa Francesco. Dico tutto sommato perché anche lì ci sono luce e ombre. Però ha costituito un mezzo passo in avanti anche se non intero. Il percorso è ancora lungo e tortuoso».


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