Gianfranco Ravasi "La croce che attira l’umanità"
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Era il 14 settembre 335, e l’imperatore Costantino – su impulso di sua madre Elena che aveva ritrovato alcune reliquie della croce di Cristo in quell’area – faceva consacrare due basiliche, l’una che accoglieva in sé il Golgota (uno sperone roccioso a forma di “cranio”, come dicono questa parola aramaica e il latino Calvario), e l’altra per il sepolcro di Gesù (in greco Anástasis, “Risurrezione”). Tra i pellegrinaggi giubilari spicca quello verso la Terra Santa e, in particolare, Gerusalemme, con tutte le difficoltà che pone quella regione martoriata.
La solennità di questa domenica reca, appunto, il titolo di “Esaltazione della Santa Croce”, collegandosi a quell’evento del 335 e all’attuale basilica gerosolimitana del Santo Sepolcro eretta dai Crociati nel 1149 e che ingloba anche il Calvario. In connessione, il giorno successivo, lunedì 15, si celebra la memoria della Beata Vergine Addolorata, una devozione cara alla tradizione cristiana, dal Medioevo fino ai nostri giorni, coi molti santuari a lei dedicati e inserita nel calendario liturgico da Pio VII nel 1814. Quest’anno sarà la data del Giubileo della consolazione.
La Bolla di indizione dell’Anno Santo, Spes non confundit, univa queste due celebrazioni: «Ai piedi della Croce, mentre vedeva Gesù innocente soffrire e morire, pur attraversata da un dolore straziante, Maria ripeteva il suo “sì”, senza perdere la speranza e la fiducia nel Signore» (n. 24). Nello spirito di quest’anno speciale che vede convergere i pellegrini verso Roma o i vari templi giubilari, vorremmo proporre l’interpretazione teologica della Croce di Cristo offerta dal Vangelo di Giovanni.
È una potente frase che Gesù pronuncia proprio a Gerusalemme davanti alla folla nella quale c’erano anche «alcuni greci»: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me»; e l’evangelista spiega: «Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire » (12,32-33). Già nel dialogo notturno con Nicodemo aveva annunciato che «il Figlio dell’uomo sarà innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (3,14-15) e, in un dibattito coi farisei in occasione della festa autunnale ebraica delle Capanne, memoria del viaggio sotto le tende nel deserto durante l’esodo dall’Egitto, aveva ribadito: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono» (8,28). Ed è noto che “Io Sono” è la stessa autodefinizione di Dio al Sinai: «Io sono colui che sono» (Esodo 3,14).
Per il quarto Vangelo la croce diventa una sorta di trono dove il Cristo svela la sua divinità e la sua gloria pasquale. “Innalzato” o “esaltato” lassù, egli è già il Risorto che attira a sé tutta l’umanità. Suggestivo è l’inno che san Paolo cita nella Lettera ai Filippesi: Cristo Gesù «umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore! » (2,8-11).
E “Signore”, in greco Kýrios, era la traduzione greca del nome ineffabile del Dio biblico (Jhwh, in pratica “Io Sono”).