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Jean Louis Ska "Salmo 122. Il pellegrinaggio verso la Città Santa"

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Piano di lavoro 2024/25

Salmo 122. Il pellegrinaggio verso la Città Santa

1. Breve introduzione

Il Salmo 122 fa parte dei cosiddetti “salmi graduali”, anche chiamati “salmi di pellegrinaggio” o “salmi di ascensione” (Sal 120-134), vale a dire salmi cantati durante il pellegrinaggio verso Gerusalemme e il suo tempio. Sono in genere composizioni abbastanza brevi salvo il Salmo 132. Il riferimento a Gerusalemme è ogni tanto più implicito che esplicito, e i salmi più chiaramente legati al tema del pellegrinaggio sono i Salmi 121, 122, 125, 126 e 132. 
Il Salmo 122 consta di due parti che fanno riferimento al nome “Gerusalemme”, la cui etimologia popolare è “città di pace”. La prima parte è piuttosto centrata sulla descrizione della città (vv. 1-5) e la seconda sulla parola “pace” (vv. 6-8). Il salmo è uno dei carmi che mette in evidenza il posto centrale di Gerusalemme, la Città Santa, e del suo tempio nella pietà popolare dell’antico Israele. Come vedremo, si tratta di un tipo di pietà che ha conosciuto una profonda evoluzione nel corso dei secoli e trova, come altre tematiche, il suo compimento nel Nuovo Testamento. 

2. Gerusalemme, la Città di Davide (Sal 122,1-5) 

La città di Gerusalemme è conosciuta sin dai tempi molto antichi. Il sito era probabilmente già occupato da pastori nel IV millennio. La prima menzione della città risale al quattordicesimo secolo a.C. in tavolette scoperte in Egitto, a TellAmarna. Il nome della città è Urusalim che significa, probabilmente, “Città di Salim”, Salim essendo una divinità cananea identificata con la “stella della sera”, cioè il pianeta Venere in certi periodi dell’anno. 
Secondo i testi biblici, la città è stata conquistata da Davide in persona, con la sua milizia, e forse usando un sotterfugio: i suoi uomini sarebbero entrati nella città attraverso un canale che permetteva di raggiungere la sorgente d’acqua sotto le mura (2Sam 5,6-9; cf. 1Cr 11,6). Era una mossa intelligente perché la città, conquistata da Davide, non faceva parte del territorio di alcuna tribù e apparteneva quindi a Davide come demanio personale. Si chiamò, per questo motivo, “Città di Davide” (2Sam 5,7.9; 6,10.12.16; 1Re 3,1; 11,27; Is 22,9) e il re ne fece la sua capitale. Nessuna tribù poteva, quindi, rivendicare la capitale come sua.
Nella pietà dei salmi, Gerusalemme è centrale perché lì si trova “la casa del Signore”, il tempio costruito e inaugurato da Salomone, figlio ed erede di Davide (1Re 6-8). Inoltre, la città era nello stesso tempo un centro religioso, politico, amministrativo ed economico. 
Nella pietà popolare dell’antico Israele, il fedele viene a pregare nel tempio o si rivolge verso tempio per essere ascoltato, così come lo spiega la preghiera di Salomone per la consacrazione del tempio (pregare nel tempio: 1Re 8,30-43, o rivolgendosi verso il tempio: 1Re 8,44-51). Il salmista si orienta verso il tempio per pregare nel Sal 28,2: “Ascolta la voce della mia supplica, quando a te grido aiuto, quando alzo le mie mani verso il tuo santo tempio” (cf. Sal 134,2), così come Daniele in esilio in Babilonia: “Daniele […] si ritirò in casa. Le finestre della sua stanza si aprivano verso Gerusalemme e tre volte al giorno si metteva in ginocchio a pregare e lodava il suo Dio, come era solito fare anche prima” (Dn 6,11). 
Inversamente, Dio, che sta in cielo, ascolta chi prega nel tempio o si rivolge verso il tempio, secondo il Sal 18,7 (2Sam 22,7): “Nell’angoscia invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, a lui, ai suoi orecchi, giunse il mio grido” (cf. Giona 2,10). 
Infine, il salmista si augura spesso di poter “abitare nella casa del Signore” come abbiamo già visto leggendo il Salmo 23 (Sal 23,6; cf. 15,1; 24,3; 27,4; 40,3; 90,17). 

3. Il pellegrinaggio 

Il Salmo 122 è uno dei salmi più caratteristici della spiritualità del pellegrinaggio, una tematica tipica dell’Antico Testamento, con tutte le sue sfaccettature. L’esistenza, in effetti, è spesso paragonata a un pellegrinaggio sulla terra verso una dimora eterna, in presenza di Dio, come, ad esempio, in Eb 13,14: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura”. Camminare verso il tempio è pertanto una immagine del cammino verso Dio che abita in cielo. Si tratta di uno dei modi principali di rispondere a una delle domande fondamentali dell’Antico Testamento in genere e del salterio in particolare: “Dov’è il tuo Dio?” (Sal 42,4.11). Osserviamo, tuttavia, una evoluzione importante in merito attraverso tutta la Scrittura, da un Dio “locale” verso un Dio “personale”. 
Secondo la spiritualità del pellegrinaggio, Dio, in effetti, è presente nel tempio di Sion che è la meta finale del cammino: “13 Sì, il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua residenza: 14 «Questo sarà il luogo del mio riposo per sempre: qui risiederò, perché l’ho voluto»” (Sal 132,13-14; cf. Sal 78,68-70). Il tempio si trova sulla collina di Sion a Gerusalemme ed è la “casa del Signore”, la sua residenza o il suo palazzo. Da lì regna come sovrano di tutte le nazioni su tutto l’universo (cf. Sal 95,3- 5; 96,9-10.13; 97,5-6; 98,4.9; 99,1-2…). 
Il Salmo 121, tuttavia, aggiunge già una sfumatura molto importante all’idea di un Dio presente nel tempio: il Signore accompagna anche il pellegrino lungo tutto il suo cammino verso la dimora divina:

5 Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra. 
6 Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. 
7 Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita. 
8 Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre

Secondo il Salmo 121, il Signore protegge il suo fedele sin dall’inizio fino alla fine del suo viaggio. Dio non sta solo nel tempio ad aspettare i pellegrini, veglia sul suo fedele in ogni luogo perché è “Signore che ha fatto il cielo e la terra” (Sal 121,2). L’idea del Salmo 121 avrà un futuro inaspettato nel corso della storia d’Israele e permetterà, anzi, di superare una delle più gravi crisi di questa storia. 
Un problema serio si pone, in effetti, quando il tempio di Gerusalemme sarà distrutto dall’esercito babilonese nel 587 a.C., vale a dire quando la città sarà espugnata e incendiata. Se la residenza divina è annientata, dov’è Dio e, soprattutto, come invocarlo? I profeti Geremia ed Ezechiele danno due risposte diverse a questa domanda. Per il profeta Geremia, Dio può anche essere “Dio da lontano”: “Sono forse Dio solo da vicino? Oracolo del Signore. Non sono Dio anche da lontano? […] Non riempio io il cielo e la terra? Oracolo del Signore” (Ger 23,23-24). Dio abita anche nei cieli e la sua dimora sulla terra è solo un povero surrogato del tempio celeste, come dice Salomone nella sua preghiera: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!” (1Re 8,37). Il problema concreto, tuttavia, è di sapere come raggiungere il Dio celeste. 
Il profeta Ezechiele aggiunge un elemento essenziale alle affermazioni di Geremia. Egli vede la “gloria del Signore”, la sua presenza, lasciare il tempio prima della sua profanazione e spostarsi prima sul Monte degli Ulivi per raggiungere in seguito gli esiliati in Babilonia (Ez 10,18-22; 11,22-25; cf. 1,4-28): “Di’ [a proposito degli esiliati] dunque: Dice il Signore Dio: Se li ho mandati lontano fra le nazioni, se li ho dispersi in terre straniere, nelle terre dove sono andati sarò per loro per poco tempo un santuario” (Ez 11,16). In parole povere, Dio sta con gli esiliati e non con la gente rimasta a Gerusalemme sulle rovine del tempio. 
Tanto è vero che il Deutero-Isaia (Is 40-55), quando descrive il ritorno degli esiliati dalla Babilonia a Gerusalemme, non parla del ritorno di un gruppo di persone, bensì del ritorno di Dio in persona nella sua città: 

1 «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. 
2 Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». 
3 Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 
9 Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio!» (Is 40,1-3.9).

Per Ezechiele così come per il Deutero-Isaia il Dio d’Israele, il Dio che risiede per molti salmi nel tempio di Gerusalemme, è anche un Dio che sa muoversi, un Dio “mobile”, che accompagna gli esiliati addirittura nel luogo della loro deportazione e che ritorna con loro nella sua città di Gerusalemme. Il Dio di un luogo è anche il Dio di persone, il Dio “locale” è un Dio “personale”, un Dio legato a un popolo in tutte le sue peregrinazioni. 
Infine, ultima tappa della riflessione veterotestamentaria in questo campo, il libro dell’Esodo trasforma radicalmente le immagini che incontriamo nel salterio. Nel deserto, Mosè costruisce un santuario, però non un tempio. Mosè fabbrica una tenda simile alle tende dei nomadi, che può quindi spostarsi (Es 25-31.35-40). La tenda guida anche il popolo nella sua marcia verso la Terra Promessa (Es 40,36-38). In questo modo, il pellegrinaggio del popolo non è più un pellegrinaggio verso il tempio del Signore, bensì un pellegrinaggio con il santuario del Signore. Non si cammina verso Dio, si cammina con Dio, e seguendo Dio. Il Dio d’Israele si fa pellegrino con i pellegrini, viandante con i viandanti. 
Come di solito, il Nuovo Testamento riprende le immagini dell’Antico Testamento per interpretare l’evento Gesù Cristo, in particolare nel prologo del vangelo di Giovanni: 

E il Verbo si fece carne e venne a piantare la sua tenda in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14) (1). 

Il vangelo di Giovanni riprende intenzionalmente termini tipici del vocabolario dell’Esodo quando si parla della presenza di Dio, ossia la sua “gloria” nella “tenda dell’incontro” (cf. Es 40,34-35). Dio, oramai, è presente sulla nostra terra, nell’umanità di Gesù di Nazaret, Verbo incarnato. Nella stessa linea, per il vangelo di Giovanni, il “tempio”, luogo privilegiato della presenza divina, è il corpo del Cristo risorto (Gv 2,21-22). Il culto, secondo lo stesso vangelo, non è più legato a un luogo, bensì sarà un “culto in spirito e verità”, come risulta dalla conversazione fra Gesù di Nazaret e la Samaritana: 

19 Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21 Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così, infatti, il Padre vuole che siano quelli che lo adorano.

Il vero culto non è più una questione di luogo, è una questione di atteggiamento secondo lo spirito del vangelo. 
Per san Paolo, il cristiano è il tempio di Dio: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1Co 3,16; cf. 6,19), il che significa chiaramente che siamo passati da una concezione locale a una concezione personale. 
Un’ultima parola, forse, per completare la riflessione: secondo il vangelo, Dio è presente in Cristo e Cristo è presente nella comunità cristiana: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). 
Infine, per la prima lettera di Pietro, i cristiani sono le pietre di un santuario spirituale: 

[…] quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo (1Pietro 2,5). 

In poche parole, per il Nuovo Testamento, il tempio, luogo della presenza divina, è la comunità cristiana, il “sacerdozio santo” è quello di tutti i fedeli del vangelo e il vero culto è la vita cristiana. 

4. La città della pace 

Nella seconda parte del salmo, centrata sulla parola “pace”, il pellegrino, sulla via del ritorno, fa una serie di auguri per la città di Gerusalemme basati su suo nome: città di pace. Nella fede dell’antico Israele, il re scelto da Dio è un sovrano che fa regnare la pace nel paese e, anche in tutto il mondo. Era già il caso sotto il regno di Salomone – il cui nome contiene la radice “pace”: “Giuda e Israele erano al sicuro; ognuno stava sotto la propria vite e sotto il proprio fico, da Dan fino a Bersabea, per tutti i giorni di Salomone” (1Re 5,5; cf. Mi 4,4; 1Mc 14,12; Zc 3,10). 
La “pace” fa parte dei beni legati al regno di un re ideale come risulta dalla descrizione di un tale re nel Salmo 72: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia” (Sal 72,3); “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna” (Sal 72,7). La venuta del Messia coinciderà con un regno di pace universale secondo il profeta Zaccaria: 

9 Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. 10 Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra (Zc 9,9-10). 

Il testo, come si sa, sarà citato nei vangeli a proposito dell’entrata di Gesù di Nazaret a Gerusalemme (Mt 21,3; Gv 12,15). La citazione, nei vangeli, non comprende il v. 10 che ha la sua importanza: Gesù di Nazaret si presenta come l’autentico erede della dinastia davidica, un sovrano pacifico che inaugura una pace universale. In tale contesto, la scelta di un asino è essenziale perché il cavallo è un animale legato alla guerra mentre l’asino, invece, è un animale utile e legato alle attività di prima necessità come l’agricoltura o il trasporto di merci e di persone (cf. 1Re 1,38 in contrasto con 1Re 1,5). 
La pace è quindi non solo un bene fra tanti altri, è il bene per eccellenza dei tempi messianici. La Gerusalemme del Salmo 122 rappresenta, pertanto, la città ideale e non deve sorprendere di ritrovarla negli ultimi capitoli del libro dell’Apocalisse come città degli ultimi tempi (Ap 21-22). 

5. Qualche spunto per la meditazione 

Il nostro Dio è un Dio locale, legato a certi “luoghi santi”, ad alcuni santuari, oppure è un Dio legato alle persone, come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe? Qual è la differenza concreta fra le due concezioni della presenza divina? 
Dove sono i luoghi privilegiati della presenza divina? Quali sono i momenti privilegiati della presenza divina? 
La nostra esistenza cristiana è un pellegrinaggio? Perché? Dio è presente solo quando raggiungiamo la meta finale del cammino? È anche presente lungo il percorso? Come? 
Il messaggio del vangelo sul “culto in spirito e verità” ha un impatto sul nostro modo di vivere come cristiani? E di concepire la nostra partecipazione alla liturgia? 
Le affermazioni di san Paolo e della Prima Lettera di Pietro sul “tempio” possono avere conseguenze sul nostro modo di concepire la comunità cristiana? Quali?
In ogni liturgia eucaristica vi è una preghiera per la pace e un gesto di pace prima della comunione. Qual è il significato di questi elementi? Di quale pace si tratta? Ha una dimensione universale? L’augurio di pace potrebbe implicare qualche impegno concreto? Quale? 
Il mondo ebraico rifiuta di vedere in Gesù di Nazaret il messia promesso dai profeti. L’obiezione principale è proprio che il vero messia inaugurerà un tempo di pace universale. Orbene, non c’è pace nel nostro mondo e, quindi, Gesù di Nazaret non può essere il messia. Che cosa possiamo rispondere a tale obiezione?  

Note: 

1 “E piantò la sua tenda” è una traduzione che tiene conto della radice della parola greca utilizzata dal vangelo di Giovanni in questo caso.


Breve bibliografia sui Salmi 

Alonso-Schökel, Luis – Cecilia Carniti, I Salmi. Edizione italiana a cura di Antonio Nepi. 2 vol. (Commenti biblici; Roma: Borla, 1992-1993). 

Lancellotti, Angelo, I Salmi. Versione - introduzione – note. 3 vol. (Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali 18; Roma: Paoline, 1984).* 

Lorenzin, Tiziano, I Salmi. Nuova versione, introduzione e commento (I libri biblici. Primo Testamento 14; Milano: Paoline, 2000, 2 2002). 

Mays, James Luther, Salmi (Strumenti 50; Torino: Claudiana, 2010).* 

Ravasi, Gianfranco, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione. 3 vol. (Bologna: Dehoniane, 1981-1984). 

Scippa, Vincenzo, Salmi. Introduzione e commento (Dabar, logos, parola. Lectio divina popolare; Padova: Messaggero, 2002-2003).* 

Viganò, Lorenzo, Il Libro delle Lodi = Sefer Tehilim. Il messaggio del Salterio (Senza luogo: Lorenzo Viganò, 2016). 

Weiser, Artur, I Salmi. Traduzione e commento. I: Ps. 1 – 60. II: Ps. 61 – 150 (AT 15; Brescia: Paideia, 1984). 

Per iniziare la lettura, meglio prendere i volumi di A. Lancelotti, J.L. Mays o V. Scippa, più semplici e meno tecnici.




Le sei meditazioni proposte da padre Jean Louis Ska:
  1. Salmo 1
  2. Salmo 27
  3. Salmo 103
  4. Salmo 23
  5. Salmo 122
  6. Salmo 139
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