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Enzo Bianchi: «Papa Francesco è isolato. Sui social l’ala tradizionalista della Chiesa è molto più vivace»

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30 novembre 2023

di Giampiero Rossi

Il monaco e teologo: «C'è uno iato tra il pontefice profetico e il suo popolo. Non credo che si vada verso uno scisma, ma temo che la Chiesa stia scivolando verso un pericoloso smarrimento»

«Papa Francesco è isolato, la Chiesa non rischia uno scisma ma un pericoloso smarrimento». Enzo Bianchi – ottantenne monaco, teologo, studioso della Chiesa, fondatore della comunità di Bose - non cerca paludati giri di parole per dire quel che pensa. Non si rifugia in equilibrismi nemmeno quando si parla del pontefice con il quale ha avuto, nel recente passato, aperto contrasto: lo critica e lo difende senza riserve. Ma il suo pensiero principale, spiega, è la Chiesa, il suo futuro nel mondo che cambia velocemente. A questo è dedicato il suo ultimo libro, «Dove va la Chiesa?» (edizioni San Paolo) che giovedì 30 novembre alle 18 presenta al Centro Ambrosianeum (via delle Ore 3) insieme a Ferruccio de Bortoli e a don Antonio Rizzolo.  

Enzo Bianchi, la domanda è obbligatoria. Dove va la Chiesa? 

«La Chiesa va verso Gesù Cristo, verso il Regno. O almeno questa è la sua vocazione, la sua missione». 

Però…? 

«Però negli ultimi decenni ha messo se stessa al centro, si parla troppo della Chiesa e meno di Gesù Cristo e del Vangelo». 

Da quando è iniziato questo atteggiamento, secondo lei? 

«Con il Concilio Vaticano II si è arrivati a una riforma della Chiesa per portare il Vangelo nel mondo, poi però ci si è ripiegati molto sulle stesse attività della Chiesa, che si è posta sempre come domina della storia, ha creduto che tutto dipendesse da lei stessa, dimenticando la scelta di spoliazione che persino Cristo ha compiuto dal suo status di figlio di Dio. Ecco, piuttosto di avere la pretese di dover e poter dire tutto su tutti e tutto, di essere maestra e guidare gli uomini, la Chiesa dovrebbe tornare a spogliarsi e  a camminare accanto agli uomini, con compassione e umiltà, per offrire a tutti la grande speranza della resurrezione». 

Non trova che da papa Luciani in poi siano stati compiuti molti gesti e passi in questa direzione? 

«Io li ho conosciuti tutti da vicino e posso dire che sì, Giovanni Paolo I ha compiuto gesti di spoliazione, che poi sono stati del tutto assenti nel pontificato successivo e anche in quello di Ratzinger, che non aveva forza sufficiente né all’interno della Chiesa né nei confronti del popolo di Dio, quindi Francesco ha avuto coraggio e determinazione, ma dobbiamo dire una verità che nessuno vuole dire apertamente…». 

Quale? 

«Francesco è isolato, a parte quelli più vicini a lui, non è seguito dai cardinali, dai vescovi, dai preti e lo stesso popolo di Dio sembra sordo alla sua proposta sinodale, lasciano scorrere tutto quasi nell’indifferenza. E quindi ci si trova in questa sorta di iato, tra un Pontefice profetico e il suo popolo, e questo mi inquieta molto perché poi nella comunicazione attraverso i social media è molto più vivace l’ala tradizionalista». 

Quindi lei difende la rotta tracciata da papa Bergoglio, sebbene abbia avuto con lui motivi di contrasto anche piuttosto aperto e aspro? 

«Io ho mosso critiche a tutti, non sono mai stato incline all’idolatria di alcun papa, ma adesso colgo una situazione molto difficile. Non credo che si vada verso uno scisma, ma temo che la Chiesa stia scivolando verso un pericoloso smarrimento». 

Ma non c’è già un conclave costruito per dare continuità futura alla strada indicata da questo papa? 

«Ma no, non è affatto vero che Francesco abbia creato un conclave a propria immagine, ha nominato anche cardinali scialbi e tradizionalisti, quindi il rischio per il futuro è proprio che per mantenere gli equilibri tra le diverse anime, il conclave finisca per scegliere un papa scialbo. Del resto, abbiamo visto come, nello stesso tempo, sia stato scelto di beatificare Giovanni XXII e contemporaneamente Pio IX: un colpo al cerchio e uno alla botte». 

A proposito di cardinali, qui a Milano ciclicamente qualcuno solleva la questione della mancata nomina dell’arcivescovo Mario Delpini. Lei cosa ne pensa? 

«Francesco non sta scegliendo le grandi città, i grandi personaggi, ma piuttosto segue una logica di periferia. Basta pensare alla nomina del vescovo della Mongolia, all’estrema periferia del mondo e con più o meno tremila fedeli. Perché lui vuole dire così che anche il piccolo, anche il poco conta. E non è una scelta politica, bensì evangelica. Altrimenti avrebbe nominato cardinali tutti i suoi». 

Un altro tema molto sentito nella diocesi ambrosiana e in tutta la Chiesa è il calo delle vocazioni. Nel libro parla anche di questo, ma ribalta il punto di partenza. 

«Certo, perché prima di interrogarci sulla crisi delle vocazioni dobbiamo farlo a proposito della crisi della fede. E torno al punto di partenza: la Chiesa troppo concentrata nelle proprie attività - tutte bellissime e preziose, tante come non mai in duemila anni di storia – ha perso un po’ di vista il suo messaggio fondamentale e straordinario: la speranza che la morte non sia l’ultima parola, perché con Cristo c’è la resurrezione. Torniamo a dire questo all’umanità». 


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