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Lilia Sebastiani "Abusi e mosaici"

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Rocca N° 18 
del 15 settembre 2024  

Un ottimo articolo del p. Pierre Vignon apparso su Adista notizie (n.26 del 13 luglio di quest’anno) reca il titolo Il destino segnato dei mosaici di Rupnik.
Destino segnato, forse, ma certo non chiaro. Ormai la questione di fondo, per quanto riguarda le opere di questo prete gesuita mosaicista e teologo, fin dagli anni ‘80 oggetto di esaltazione per i suoi mosaici, per i suoi libri, per i suoi esercizi spirituali di tradizione ignaziana, sembra essere: che farne? La questione si pone in particolare per i mosaici realizzati da Rupnik e dal suo ‘team’ di lavoro sulla facciata della Basilica del Rosario a Lourdes e sugli archi sotto i quali si passa per raggiungere la Grotta. 

Jean-Marc Micas, arcivescovo di Lourdes, non vorrebbe che le opere di Rupnik fossero continuamente sotto gli occhi dei pellegrini, soprattutto considerando che coloro che vanno a Lourdes sono, più che altrove, persone sofferenti in cerca di conforto per le loro e altrui sofferenze; vorrebbe che fossero tolte, in segno di rispetto a coloro che hanno dovuto soffrire a causa dell’autore, ma esita a prendere una decisione che sarebbe di almeno parziale rottura, e continua a chiedere e ad attendere un (improbabile!) consenso unanime tra le persone coinvolte, “per non aggiungere violenza tra i favorevoli e i contrari”. 

L’atteggiamento del principale interessato – ovvero il mosaicista – è quasi incomprensibile. Anzi, volutamente imperscrutabile. In molti si chiedono come mai, oggetto di accese controversie ormai da più di due anni, continui a non parlare e a non mostrare il minimo turbamento o almeno un’ombra di rincrescimento per le vittime. Il problema connesso con le opere – con la persistenza come con la rimozione –, va ben oltre la persona e le sue colpe, e in un certo senso travalica anche il problema delle vittime. «…Sicuramente, il problema più prossimo ai fatti in questione riguarda tutta quella rete di coperture, silenzi, complicità che ha permesso a Marko Rupnik di compiere indisturbato per oltre trent’anni gravi atti di natura sessuale nei confronti di religiose e, nel contempo, di mostrarsi come maestro di arte liturgica e spiritualità, chiamato ovunque, persino in Vaticano, per predicare ritiri, esercizi, fare conferenze. Una rete che ogni settimana si arricchisce di nomi nuovi, che fino ad ora continuano a rimanere tranquillamente ai propri posti» (P. Vignon). 

Il Consiglio universitario della Pontificia Università Cattolica di Paraná ha stabilito di revocare il titolo di dottore honoris causa conferito a Rupnik il 30 novembre 2022, perché, «alla luce dei fatti ampiamente riportati», il gesuita viene ritenuto «“indegno” di tale riconoscimento». Ma questa è almeno una decisione facile e di rapida attuazione, per quanto sia problematico etichettarla come giusta o sbagliata. 

Se diamo un’occhiata alle pubblicazioni, ci rendiamo conto che è davvero arduo, se non impossibile, tenere questi scritti al riparo dal giudizio sul loro autore. Si tratta infatti perlopiù di scritti di spiritualità, che affrontano tematiche strettamente legate con la sua condotta. I primi ad affacciarsi alla mente, anche di chi non li ha letti, sono Il discernimento (Lipa, 2004) e L’esame di coscienza. Per vivere da redenti (Lipa, 2008). È del 2004 anche un libro dedicato all’attuale crisi della vita religiosa, Vedo un ramo di mandorlo (Lipa, 2004), scritto insieme all’attuale direttrice del Centro Aletti, Maria Campatelli. «Da tanto tempo si avverte che nella vita religiosa qualcosa non va…»: così inizia, sul sito della casa editrice, la descrizione del volume che dovrebbe offrire una lettura critica della crisi attuale della vita religiosa e le linee per una rinascita. 

Sul versante delle opere artistiche, sono oltre duecento le realizzazioni (che riguardano luoghi molto importanti per la fede cattolica, da Cracovia a Fatima a Lourdes, dal Laterano a San Giovanni Rotondo, come diverse piccole cappelle di case religiose. 

Quelli che appoggiano la distruzione ‘purificatrice’ portano come argomento principale (non unico) il rispetto delle vittime, a cui la vista dei mosaici ricorderebbe di continuo una persona che ha loro spezzato la vita; altri la osteggiano per ragioni di coerenza, sostenendo che «…se distruggiamo le opere di Rupnik, dobbiamo distruggere anche l’intera Cappella Sistina dell’immorale Michelangelo…». 

Ma l’immorale Michelangelo non faceva filosofia e teologia della propria immoralità, mentre nel caso del mosaicista sloveno la vita e gli atteggiamenti non sono separabili dall’opera artistica e dalla teologia. Non stiamo parlando di ‘peccati’, tantomeno di peccati carnali, ma di qualcosa che è molto meno semplice; di una ‘formazione deformante’ molto grave. Secondo le accuse, Rupnik non solo abitualmente convinceva le sue vittime ad avere rapporti con lui al di fuori di qualsiasi contesto di amore e di fedeltà, ma li convinceva che qualsiasi atto non era peccato se compiuto con lui; e la sua aspirazione più alta era il sesso a tre, sostenuto con argomentazioni trinitarie ai limiti del blasfemo e con l’imposizione della visione di film porno alle sue adepte, per vincere il loro rifiuto e il loro disgusto. 

Qui sono in gioco non tanto dei peccati sessuali, benché gravi e accompagnati da inganno e violenza, ma una grave falsificazione complessiva della fede e della mistica,che hanno supportato il modo di essere e di agire dell’artista praticamente per tutto il corso della sua vita e che sono risultate decisive nel sedurre le vittime. 

Dalle varie interviste pubblicate finora, infatti, non emerge la figura di un uomo ‘fragile’ o tentato, ma solo di un narcisista che disprezza profondamente gli altri, crede nella propria superiorità, nella propria onnipotenza e le celebra, compiacendosi di sfidare i divieti. Mons. Charles Morerod, vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo (le chiese di Ginevra ospitano tredici realizzazioni di Rupnik, e ognuna di esse costituisce una stazione del Chemin de Joie, inteso come un compimento della Via Crucis), esprime la solita comprensione per le vittime, ma ritiene che la rimozione delle opere di Rupnik sarebbe una «negazione della realtà» e, pur potendo accontentare alcuni, finirebbe per scontentare altri e punire ingiustamente gli artisti che hanno collaborato con lui: infatti il team dell’artista ex gesuita è piuttosto numeroso. 

Come la pericoresi trinitaria? 

Andrew e Gwyneth Thompson-Briggs, in un interessante articolo scritto per il National Catholic Register, affermano che il punto non è se si debbano distruggere le opere di un artista che ha avuto una condotta di vita assai discutibile. Il “caso Rupnik”, rispetto ad esempio alla vita di Michelangelo, ha una particolarità che getta ombra su tutto il suo operato: il gesuita, infatti, «nel corso di una lunga carriera in seno alle strutture ufficiali della Chiesa, avrebbe sfruttato la sua autorità di sacerdote, teologo e artista sacro per fare di se stesso il profeta di un falso vangelo in cui il peccato è virtù e la virtù peccato. Secondo le accuse, Rupnik non solo abitualmente convinceva altri a peccare con lui, ma li convinceva che peccare con lui non era vero peccato, così che potessero prendere parte al suo pseudo-misticismo carnale». 

Non si tratta tanto di un peccato appunto ‘carnale’, ma di una totale svalutazione dell’altra persona, di una falsa fede e di una falsa mistica, che hanno supportato il modo di essere e di agire di Rupnik praticamente per tutto il corso della sua vita religiosa e sacerdotale e che hanno sedotto le sue vittime. 

I dettagli delle varie interviste che sono state finora rese pubbliche non parlano di fragilità umana, ma della concretizzazione di un pensiero pseudoteologico per cui quello che Rupnik realizzava sessualmente doveva ritenersi espressione incarnata della pericoresi o inabitazione trinitaria: annuncio falso e fuorviante – qualcuno potrebbe anche dire folle e blasfemo – che comunque è difficilissimo separare dall’insieme delle sue opere, così come è difficile, al limite dell’impossibilità, separare le opere scritte da quelle artistiche. 

Alcuni particolari del racconto delle donne sono sconvolgenti: Rupnik aveva chiesto ad una delle consacrate di avere rapporti a tre con un’altra sorella della comunità «perché la sessualità doveva essere secondo lui libera dal possesso, ad immagine della Trinità dove, diceva, il terzo raccoglieva il rapporto tra i due». Una delle donne ricorda anche che le richieste di atti sessuali avvenivano «anche mentre dipingeva ed erano sempre più aggressive e spesso avvenivano quando dipingeva il volto di Gesù per qualche nostra cappella». 

L’indagine su Rupnik è ancora in corso ma il clamore e lo sdegno suscitato dalla vicenda e dai racconti delle ex religiose hanno provocato un terremoto di portata internazionale che ha alimentato un tormentato dibattito sulle sue oltre 200 opere. Le presunte vittime di Rupnik chiedono che le sue opere non siano più esposte nelle chiese, «nei luoghi in cui ciascun credente si raccoglie in preghiera, e suscitano turbamento negli animi dei fedeli». Come minimo, l’esposizione delle opere di Rupnik è inappropriata e porta a rivivere il trauma delle donne che «quotidianamente devono confrontarsi con le conseguenze psicologiche che gli abusi hanno arrecato loro». 

L’avv. Laura Sgrò, legale di cinque di loro afferma: «Peraltro, è emerso che durante la realizzazione di alcuni mosaici, almeno una suora ha ricevuto molestie di natura sessuale anche sulle impalcature, mentre partecipava alla messa in opera del mosaico. Altre suore hanno raccontato di aver fatto da modelle per le opere di Rupnik, anche queste esposte in luoghi sacri, e mentre posavano sono state abusate». 

Nello stesso articolo viene sottolineato un elemento caratteristico delle rappresentazioni di Rupnik, un aspetto che ha da sempre inquietato molti, ossia le pupille interamente nere dei suoi personaggi, che «mancano di qualsiasi rappresentazione della luce riflessa che li penetra». «Gli occhi del Cristo e dei santi di padre Rupnik – continuano i due autori – sono privi di ogni luce, quasi raffigurassero non la Luce del Mondo, ma le Tenebre del Mondo, nelle quali vediamo solo tenebre. Si pensi al detto di Nostro Signore: “…Ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!”» (Mt 6,23). Un artista italiano che preferisce rimanere anonimo prende le distanze dalla “glorificazione” di Rupnik-artista: a prescindere dalla sua condotta personale, «i suoi soggetti riprendono le stilizzate illustrazioni dei messalini degli anni Sessanta e vengono ripresentati dentro gli schemi liturgici bizantini». 

Il riferimento più prossimo delle opere di Rupnik, però, non è affatto il mosaico “bizantino”, piuttosto quello della transavanguardia. «L’arte di Rupnik – continua la nostra fonte – non è simbolica, ma allegorica, sbilanciata sul versante dell’astrazione, con una sfumatura di docetismo. Non sarebbe mai dovuta entrare nelle chiese». 

Il principio fondamentale dell’arte liturgica è infatti il realismo simbolico, che si fonda sull’irrinunciabile realismo dell’Incarnazione, ma senza ridursi ad un verismo. E suo principio ermeneutico è la liturgia. 

Le opere di Rupnik, invece, viene fatto notare, hanno bisogno di essere spiegate, altrimenti risultano incomprensibili. Sono infatti allegoriche, non simboliche; non è la liturgia il loro contesto interpretativo, ma l’opuscolo di spiegazione o la visita guidata. 

Non solo Rupnik 

L’intenzione di papa Francesco sembrerebbe quella di chiudere la questione con meno clamore possibile, nella speranza che la gente dimentichi l’accaduto. Ciò implicherebbe la (relativa) sparizione di Rupnik dalla scena pubblica, cosa non facile comunque vista la notorietà del personaggio e l’estrema visibilità delle sue opere artistiche. Comunque l’attenzione dei media scenderebbe, come sempre accade, e ciò consentirebbe agli affari del Centro Aletti di prosperare come prima, grazie al ‘cerchio magico’ dei fedelissimi (soprattutto fedelissime) formati dal suo insegnamento e sotto la sua influenza, tra cui diverse ex religiose della comunità Loyola che hanno seguito Rupnik al momento della rottura con Ivanka Hosta, nel 1994. 

«…Bisogna capire come funziona il discernimento ignaziano: sei chiamato a una totale disponibilità e apertura ed è il tuo padre spirituale a guidarti nella comprensione di cosa è bene e cosa è male. Se chi ti guida dice che Dio lo vuole, e tu non obbedisci, ti metti contro Dio. È proprio lì che si può insinuare la manipolazione, come è successo con padre Rupnik. Io avevo paura di sbagliare, paura di perdere la sua approvazione, mi sentivo fortemente dipendente dal suo giudizio. Se non facevo come voleva lui, subito diceva che il mio cammino spirituale si arenava e mi presentava come “sbagliata” agli altri ragazzi e ragazze del gruppo che nel frattempo si andava formando intorno a lui. Soltanto padre Marko decideva chi andava bene e valeva la pena di essere supportato; chi invece era nell’errore veniva umiliato e messo in disparte». Da un’intervista di F. Tourn a “Pia” (nome di fantasia), su Domani, dicembre 2022. 

Mentre la Compagnia di Gesù deve occuparsi della vicenda Rupnik, dalla Francia arriva un pesante dossier che riguarda altre tre personalità carismatiche del mondo cattolico ora defunte, da cui emergono diversi elementi in comune con il caso Rupnik. Uno dei tre è un laico, Jean Vanier, fondatore della comunità “L’Arche”, gli altri due sono domenicani, i fratelli Thomas e Marie-Dominique Philippe; per decenni hanno esercitato violenza materiale e spirituale su donne adulte (adulte sì ma, anche in questo caso, completamente dipendenti dal ‘guru’), circuendole con teorie e pratiche tra il mistico e l’erotico, durante l’accompagnamento spirituale. Fattori ricorrenti sono il culto della personalità, l’uso del carisma personale per ottenere favori sessuali, l’aver fama di teologi e di uomini santi, il clima di omertà che li circonda. E, gravida di conseguenze, la separazione fra le azioni private e la vita pubblica. Ma soprattutto l’esaltazione dell’obbedienza.










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