Massimo Recalcati "Clima, patto tra generazioni"
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La Repubblica, 29 luglio 2023
La ragazza di nome Giorgia non pone al ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica una
domanda tra le altre, ma dichiara con grande commozione la propria angoscia. Si tratta, in realtà, di
un’angoscia che non è solo sua, ma riflette quella di una intera generazione.
La chiama, forse in un modo un po’ stonato, eco-ansia. È l’angoscia di chi vede morire il mondo e,
insieme a esso, le proprie speranze e il proprio avvenire. Il ministro ringrazia per la domanda e poi
si commuove a sua volta.
Forse Giorgia ha toccato il tasto giusto? Forse le vecchie generazioni non possono non riconoscere
le proprie colpe? Non possono continuare ancora a fingere che tutto sia normale?
La commozione che assale i due interlocutori vale più di qualunque discorso retorico in difesa
dell’ambiente. Sarebbe compito di una buona politica trasformarla in una pratica, tradurre questo
dialogo tra due generazioni in una nuova progettualità.
Ne parla in modo struggente Cormac McCarthy nel suo libro-testamento titolato La strada. Forse
nessun libro come questo è stato in grado di descrivere la cifra del mondo contemporaneo: il pianeta
appare, nel suo racconto, sconvolto da una catastrofe ecologica senza precedenti, incenerito, senza
luce, senza giorno, senza alba, senza vita, ridotto a un mucchio di rovine.
I sopravvissuti vagano per le strade come figure spettrali pronti a rapinarsi, stuprarsi, assassinarsi,
mangiarsi per sopravvivere. Ma questo padre e questo figlio — che non hanno nome perché
rappresentano la vecchia e la nuova generazione — hanno il compito di resistere, di non lasciarsi
trascinare nella barbarie della “guerra di tutti contro tutti”.
Nel 2013 avevo dato alla nuova generazione una definizione: “generazione Telemaco”. Sono i nostri
figli che, diversamente da Edipo, il figlio maledetto, descritto dalla tragedia di Sofocle, non vogliono
la pelle del padre, ma, senza incancrenirsi in un’attesa senza speranza che il padre Ulisse ritorni,
decidono di mettersi in moto, intraprendono con audacia il loro viaggio.
È un dato di fatto: l’autorità simbolica di cui il padre è simbolo è tramontata irreversibilmente
lasciando le nuove generazioni senza bussola. Ma se questo tramonto coincidesse con la morte del
padre-padrone del patriarcato e della sua vecchia morale disciplinare sarebbe solo un bene.
Il problema è che con questa morte è venuto meno anche il senso della Legge. È quello che mostra
drammaticamente Cormac McCarthy. Invochiamo il mancato rispetto delle regole senza accorgerci
che abbiamo perduto di vista il senso della Legge che, come la Torah ricorda, prima ancora di essere
scritta sulle tavole di pietra deve iscriversi nella “carne del cuore”.
Sarebbe vano concepire il rimedio al disagio giovanile contemporaneo provando a ripristinare i
valori della tradizione: disciplina, obbedienza, gerarchia. Il rimpianto nostalgico genera, infatti, solo
mostri peggiori di quelli che vorrebbe combattere.
Piuttosto il problema che affligge la generazione Telemaco, di cui Giorgia è ai miei occhi una
ennesima testimone, è come ridare senso alla propria vita, come riportare il senso della Legge a
Itaca.
Non stupisce che esista in alcuni giovani di oggi una ricerca di senso che non può più trovare risposte
nella tradizione patriarcale, né però si accontenta di quelle offerte dal circo dei media e dei social.
L’angoscia di Giorgia e la sua preghiera non sono relative alle possibilità di avere successo nella vita,
ma a quella di poter diventare madre, di abitare la sua terra, di avere ancora un futuro.
È la responsabilità politica che il ministro forse segnala attraverso la sua commozione: le vecchie
generazioni hanno lasciato in eredità alle nuove una terra sfiancata, un orizzonte collassato, una
precarietà senza prospettive.
Il ritorno alla politica o alla spiritualità di alcuni tra i nostri figli segnala oggi il loro deciso rifiuto di
farsi complici di questa eredità. Non a caso Lacan aveva associato la preghiera alla rivolta.
Cosa hanno in comune? Il rifiuto dell’ordine delle cose già stabilito, della rassegnazione e la
necessità di invocare un nuovo possibile orizzonte di vita, di non abituarsi all’offesa e all’ingiustizia.
La rivolta come la preghiera dilatano, anziché restringere, l’orizzonte del mondo, introducono il
respiro ampio del riscatto e del rinnovamento.
La battaglia per l’ambiente, di fronte agli ostinati negazionismi di ogni genere, è la battaglia delle
nuove generazioni. Esse, come fa il bambino protagonista de La strada, dovrebbero guidare i loro
padri ad andare verso Sud, verso il mare, verso la vita, a non considerare la distruzione del mondo
come il nostro solo destino possibile.
Questo bambino è, infatti, il fratello di Telemaco: ricorda alle vecchie generazioni che è necessario
vedere lontano, pensare il futuro, coltivare ancora la speranza. Lo diceva a suo modo Jean-Paul
Sartre, nella sua ultima intervista rilasciata prima di morire.
Bisogna distinguere due modi di pensare il rapporto tra speranza e trascendenza. La “speranza della
trascendenza” traduce il modo tradizionalmente religioso: sperare che esista da qualche parte un
mondo migliore di questo.
La “trascendenza della speranza” suggerisce invece che è proprio in questo mondo che un riscatto
deve compiersi perché la domanda di senso che s’incarna nella preghiera e nella rivolta non è per
un altro mondo, per un mondo al di là di questo mondo, ma per rendere questo mondo più degno
dell’incanto che esso porta con sé.