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Gianfranco Ravasi "L’umanesimo necessario tra scienza e nuova comunicazione"

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Il martedì di Passepartout è stato un invito pacato alla riflessione, pur nella consapevolezza di un tumultuoso e clamoroso rivolgimento dei tempi. 

Monsignor Gianfranco Ravasi ha evocato l’amico biblista e teologo astigiano Paolo De Benedetti.
Ha poi proposto cinque «sguardi», spunti di riflessione sul mondo: la società contemporanea, la visione antropologica, la religione, la scienza e la nuova comunicazione. Osservando una società (e una cultura) segnata da mobilità, fluidità, liquidità, ha citato un’icastica frase di Paul Ricoeur: «Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’anoressia dei fini» dove si rischia di non trovare più il senso della vita. «Dobbiamo tornare - ha detto - attraverso il contributo dell’umanesimo, a dare cibo a quell’anoressia». La fluidità comporta che non vi sia più un concetto di natura umana condivisa, per cui è difficile dialogare quando ognuno ha la propria verità. Richiamando idee di Platone e Lévinas, Ravasi ha sottolineato l’importanza del rapporto con l’altro, rispecchiandosi nella reciproca «adamicità», e che amare è il primo comandamento. Significativa la visione della religione: «Gli errori della filosofia sono sempre ridicoli, ma quelli della religione sono pericolosi». Ravasi ha individuato la malattia dell’epoca: l’«apateismo», vivere sempre sulla superficie e nell’indifferenza, una forma di paralisi dell’anima. Sulla scienza Ravasi ha individuato i rischi di genetica, neuroscienze e intelligenza artificiale, così come quelli del mondo subissato di informazioni. L’eloquio di Ravasi, dalla voce lieve, è stato densissimo, intessuto delle parole di poeti eccelsi come Brecht, Caproni, Turoldo e Borges. Ma la conclusione l’ha affidata a Gandhi e alla sua profezia sulla rovina dell’uomo, che però è anche un avvertimento a fermarsi prima del precipizio.

 

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