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Enzo Bianchi "L’attesa di un futuro diverso per la Chiesa”

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marzo 2023 
L’attesa di un futuro diverso per la Chiesa
per gentile concessione dell'autore

distanza di un anno e mezzo dall’inizio del cammino sinodale voluto da papa Francesco, possiamo abbozzare una lettura di ciò che si è vissuto.

Da più parti si riconosce che questo cammino è una grazia straordinaria per la comunità cristiana, una consultazione storica senza precedenti nella storia della Chiesa, una forma di dialogo ecclesiale inedita e urgente. Ma, nello stesso tempo, si prende atto della fatica che il cammino sinodale comporta per la presenza di chi l’osteggia e di chi resta scettico, non interessato ed estraneo. E va detto con chiarezza che questi atteggiamenti contraddittori nei confronti del Sinodo si riscontrano in vescovi, sovente in presbiteri stanchi e disillusi, e in porzioni di fedeli che non avvertono il bisogno di appartenenza e corresponsabilità nella comunità cristiana. Per questi ultimi è sufficiente che la Chiesa permanga come luogo che assicura i sacramenti, come celebrazioni della festa per segnare le diverse tappe della vita.

 

Chi, invece, ha deciso di partecipare all’esperienza del cammino Sinodale ne è stato soddisfatto e  ha cominciato ad assaporare la ricchezza del confronto, dell’ascolto reciproco, dell’esercizio della fraternità cristiana. Tuttavia, se si seguono gli eventi sinodali, se si presta attenzione alle parole che risuonano nelle Chiese locali e nella Curia romana, che dev’essere al servizio del Papa e dei vescovi tutti, si percepisce l’urgenza di adottare alcuni atteggiamenti senza i quali non ci può essere fecondità sinodale.

 

Innanzitutto la  parresìa, una parola franca nella libertà, che esclude non solo la doppiezza ma anche ogni forma di strategia. Il Sinodo non è una battaglia tra schieramenti contrapposti, ma una Pentecoste nella quale lo Spirito santo scende per essere il Signore della Chiesa e nella Chiesa. Chi prende parte a un sinodo deve usare il linguaggio del «sì, sì; no, no» (Mt 5,37), come ha chiesto Gesù nel Vangelo. Libertà di esprimersi senza sentirsi giudicato, senza sentirsi additato come avversario. Invece si ha l’impressione che non sempre questo avvenga, che a volte si parli per rimarcare la contrapposizione all’altro attraverso interviste o interventi fuori dal contesto sinodale. Viene da chiedersi: manca il coraggio di un confronto limpido? O del palesare con responsabilità la propria opinione? 

 

Questo modus operandi non è dei discepoli di Gesù che, come mostrano gli Atti degli apostoli e soprattutto Paolo, sanno vivere le conflittualità spiegando la propria posizione e arrivando a un confronto diretto, sincero, leale, paziente, gli uni di fronte agli altri. Come si può “camminare insieme” se non ci si ascolta insieme, faccia a faccia?

 

Unita alla parresìa vi è poi sempre la pazienza: non la pazienza di Giobbe, ma l’hypomonè, l’essere capaci di “mettersi sotto, stare sotto”, reggere una situazione.

 

Si tratta di una disposizione verso i fratelli e le sorelle: attenderli, cercare di comprenderne le ragioni, saper accettare le debolezze e soprattutto riconoscere che possono avere una parola sapiente e frutto di discernimento anche per noi. Nella comunità del Signore la comunione è sempre comunione di differenze, nella diversità, plurale. Oggi è urgente comprendere che le differenze, le diversità non sempre implicano divisione, ma possono essere una ricchezza che, certo, rende faticosa la vita delle comunità, ma che riflette nella chiesa la policroma sapienza di Dio! Dobbiamo imparare, anche in base alla gerarchia delle verità come ricorda il Vaticano II, che ci sono differenze che possono essere riconciliate, tenute le une accanto alle altre senza una smentita l’una dell’altra. Questo non solo nella spiritualità, nella liturgia e nelle forme del vivere della comunità cristiana, ma anche nella fede.

 

Basta con la paura della differenza che ci ha avvelenato l’anima spingendoci a escludere, a condannare, a non riconoscere più i nostri fratelli e sorelle nella fede! Non è, forse, il cammino sinodale lo strumento adatto per farci uscire dalle strettoie del nostro piccolo spazio, per fornirci uno sguardo capace di sentire e pensare in grande?

 

Per questo cammino sinodale è urgente che non venga meno l’attesa di un futuro diverso per la Chiesa. Senz’altro, il futuro solo il Signore lo conosce, ma è importante che noi oggi, qui e ora, con la nostra povertà, debolezza e fede, ci sentiamo il piccolo gregge al quale Gesù ha detto di non temere (cf Lc 12,32).

 

Il cardinale Matteo Maria Zuppi, il 23 gennaio scorso, nella prolusione al Consiglio permanente Cei, ha ricordato le parole profetiche di Benedetto XVI: «Avremo dei preti ridotti ad assistenti sociali, il messaggio della fede ridotto a messaggio socio-politico.[...] Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, nella fase più traumatica della crisi, la Chiesa rinascerà. Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale. La rinascita sarà opera di un piccolo resto apparentemente insignificante, eppure indomito, che è passato attraverso un processo di purificazione. Perché è così che opera Dio! Contro il male resisterà un piccolo gregge».

 

Dunque, anche Zuppi intravvede come orizzonte del cristianesimo una minoranza creativa, che non sia solo espressione di una progressiva riduzione, ma di una volontà autentica di vivere il Vangelo. E contro ogni interpretazione elitaria, ricorda che la minoranza efficace non è in contraddizione con una Chiesa di popolo, non è autoreferenziale con tentazioni settarie, ma è una realtà che non innalza muri, e apre la porta a tutti senza contare chi è dentro, sulla soglia o fuori.

 

Anche nel guardare alla Chiesa dobbiamo imparare dal Vangelo: attorno a Gesù c’erano una ventina di uomini e donne che vivevano con lui. Poi c’erano dei discepoli che frequentavano Gesù assiduamente, ma continuando ad abitare in casa loro. Infine, c’erano quelli che hanno incontrato occasionalmente Gesù, lo ascoltavano, erano curati e guariti e poi tornavano sulla loro strada. Perché non impariamo da lui e continuiamo con i nostri schemi: praticanti/non praticanti, credenti/noncredenti, quelli dentro e quelli fuori? 

 

Noi Chiesa siamo un piccolo gregge. In una società di minoranze, se c’è una Chiesa aperta, piccola ma luogo di comunione, è una grande speranza per tutti. Il Sinodo è l’occasione per attuarla.

 

I cardinali Grech e Hollerich, rispettivamente segretario e relatore generale del Sinodo, hanno indirizzato una lettera a tutti i vescovi. Essa risuona come un memorandum offerto con dolcezza ma anche con fermezza a quanti, con occhio censorio, in questo cammino

sinodale presumono di conoscere le conclusioni e a quelli che vorrebbero condizionarne i risultati. I due cardinali ricordano che il Sinodo è un processo, nel quale è stata prevista la consultazione del popolo di Dio, poi il discernimento dei vescovi e, infine, una conclusione che mostrerà come la voce dello Spirito santo sia stata ascoltata dal Papa ai vescovi ai fedeli. Questo Sinodo nella sua novità rappresenta un apprendistato alla sinodalità, perché da episodio diventi una prassi. Con la lettera dei cardinali viene ribadito che il Sinodo è un cammino aperto e non predeterminato, un cammino nei confronti del quale nutrire speranza e non timori, una convocazione che deve muoversi su una rotta comune.

 

Sì, una grande sfida, che è sempre una sfida tra comunione e divisione, tra riconciliazione e conflittualità, tra autoreferenzialità e ascolto reciproco, tra le parole del Vangelo e le nostre sempre misere parole.



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