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“Le chiese non si chiudono, ma la Cei istruisca i preti”

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intervista a Enzo Bianchi a cura di Carlo Tecce

Enzo Bianchi, chiese aperte o chiese chiuse?
Capisco la domanda che riguarda milioni di cittadini angosciati per la pandemia, ma avrei preferito che la questione non venisse posta in questi termini e fosse risolta con maggior discernimento.

Al momento le chiese sono semichiuse, o semiaperte se preferisce.
Io da cristiano non ho dubbi: chiese aperte, ma con estremo giudizio e con le precauzioni sanitarie prescritte perché le chiese non sono esenti dalle disposizioni governative. Ai pastori dico di ricordare la nostra funzione essenziale: alla gente vanno garantiti luoghi in cui pregare, momenti per percorrere altre strade di consolazione e speranza se la loro fede lo chiede.

Giovedì la Conferenza episcopale ha suggerito, non imposto ovvio, la serrata ai 260 vescovi delle 260 diocesi e alcuni vescovi si sono presto adeguati.
A me è sembrata subito una misura eccessiva, poco meditata. C’era l’esigenza di dare un segnale di disciplina e di sostegno al governo, ma ribadendo il ruolo primario della Chiesa: far sentire la sua presenza lì dove ci sono gli infermi, gli anziani, gli ultimi.

Un intervento di papa Francesco, venerdì mattina, ha costretto la Cei a una smentita di se stessa e i sagrati delle parrocchie si sono spalancati.
Io mi aspettavo un segnale di Francesco. Mi interrogavo: siamo proprio sicuri che sbarrando l’ingresso in chiesa e cessando l’eucarestia si testimoni l’obbedienza al Vangelo che ci chiede un amore concreto verso il prossimo? No, era un errore. Altro che vicinanza al prossimo: il prossimo sarebbe morto. Per fortuna, il Papa ha parlato e interrotto una grave sonnolenza spirituale.

Adesso i sacerdoti, come da indicazioni Cei, possono accogliere i fedeli tra i banchi e portare l’eucarestia a chi soffre, a chi è solo. Non è pericoloso che un sacerdote si avvicini a un ammalato?
Questo è un problema molto serio e la Cei non può lasciare libertà di scelte e troppa responsabilità ai preti, ha il compito di fornire direttive precise. Bisogna essere attenti e trovare soluzioni adeguate per evitare contagi. Per esempio, dotarsi di mascherine e guanti sterili per portare la comunione a chi la chiede.

Però le norme vietano contatti esterni e visite a domicilio, si può uscire soltanto per ragioni necessarie, come per andare al lavoro o per l’acquisto di alimenti.
Mi è stato difficile capire perché il governo avesse annullato le celebrazioni liturgiche e i funerali mentre i ristoranti erano ancora follemente strapieni. Questa emergenza è una novità che ha fatto smarrire il giusto equilibrio e venir meno il discernimento. È successo ai vescovi, non biasimo di certo le autorità civili. Nutrire il corpo con il cibo comprato nei supermercati è necessario, ma per i cristiani è necessario anche nutrire l’anima con i sacramenti.

Che sia influenza spagnola, colera, peste, da sempre la Chiesa entra in conflitto con la scienza e le regole e si ribella. Quale è l’altro rischio del virus Covid-19?
Semplice: la debolezza della fede. Non è il tempo dei miracolisti o di processioni per guarire il virus o cose simili. Con la fede non sconfiggiamo la pandemia, è chiaro, ma i sacramenti sono cose decisive e non superflue per noi cristiani. Hanno un significato profondo che va cercato senza attentare alla salute pubblica. Lo Stato deve capire che ci sono esigenze essenziali per tutti, ma per i cattolici è anche essenziale nutrirsi del corpo di Cristo.

Cosa può fare il governo?
La Costituzione italiana ha sancito che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; tuttavia lo Stato ha il dovere di spiegare alle comunità religiose, di qualsiasi religione, come comportarsi di fronte a una pandemia, lasciando al discernimento delle comunità religiose ciò che è necessario alla vita spirituale dei credenti.
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