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Brunetto Salvarani, Guido Dotti e Walter Magni: Per Christian

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Nuovi contributi per ricordare Christian Albini. Ringraziamo don Walter, Brunetto e Guido. Disponibili a pubblicare altro materiale.

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Don Walter Magni

Mi permetto d inviare 2 interventi che Christian Albini ha tenuto a Castellanza nei mesi scorsi.
Gli avevo chiesto di introdurre il Consiglio Pastorale e la Comunità P. alla definizione del Progetto Pastorale.
Avrebbe dovuto tenere il terzo e ultimo incontro giovedì 19 gennaio prossimo.

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Mensile Confronti
di Brunetto Salvarani (docente di Teologia della Missione e del Dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna)

Un ricordo del teologo Christian Albini, scomparso il 9 gennaio.

Non mi è facile per nulla scrivere un ricordo di Christian, per molte ragioni. La prima, e fondamentale, è che ripensare a lui, ai suoi brevi 43 anni strappati alla vita da una malattia che siamo abituati a definire incurabile, che l’ha sconfitto ma non vinto, mi fa male: perché quanto è accaduto è profondamente ingiusto, e perché mi è ancora impossibile rendermi conto che non potremo più discutere dei temi che stavano a cuore a entrambi, e sono tanti, né potrò leggere i suoi illuminanti post sul suo seguitissimo blog Sperare per tutti. Un’altra ragione è perché questo genere di testi viene logico e quasi spontaneo produrlo per chi se n’è andato, come ama dire la Bibbia, “vecchio e sazio di giorni”, e non per chi è morto, per usare un’altra espressione scritturistica, “alla metà dei suoi giorni”. In tal caso, più che alla produzione lasciataci, pur copiosa se raffrontata al suo esiguo tratto di vita, mi viene da pensare a quello che Christian Albini ci avrebbe ancora regalato, trovandosi oggi nel fiore della sua attività di divulgatore teologico di sicuro spessore. E poi, non da ultimo, mi è impossibile non riandare alla sua sposa, Silvia, e ai suoi tre piccoli figli, Davide, Michele e Sofia, che hanno perso un marito attento e un papà amorevole, che in tutti i suoi interventi non dimenticava di sottolineare il suo ruolo in famiglia come il primo e fondamentale della sua esistenza. La sua sarà per loro, in ogni caso, un’assenza enorme, persino impensabile.

Con Christian ci conoscevamo da cinque anni, ma mi sembra di averlo avuto vicino da molto più tempo. Merito, in primo luogo, del suo blog, forse il più interessante e acuto fra quelli dedicati ai mondi religiosi, su scala nazionale. Avevo cominciato a seguirlo da poco, quando, senza esserci mai visti, mi aveva citato all’epoca del nostro terremoto, a maggio 2012, quando per qualche tempo ero sfollato da casa e continuavo a comunicare con amici e collaboratori tramite brevi messaggi che affidavo a Facebook, e chiamavo effetti collaterali, con l’obiettivo di fornire punti di vista diversi da quelli presenti sui media rispetto a quel sisma che non voleva finire. Christian, con grande sensibilità, segnalò alcuni di essi nel suo Sperare per tutti, e fu l’occasione non solo per ringraziarlo di cuore, ma anche per capire ancor meglio quanto quel blog fosse largamente letto in tutto il Paese. Poi, ci incontrammo per una settimana di spiritualità in quel di Bose, suo autentico luogo d’elezione, a seguire le lezioni di Enzo Bianchi, suo amico carissimo, quando ci conoscemmo più approfonditamente, ed ebbi modo di apprezzare la sua non comune cultura teologica, l’attaccamento per la sua chiesa locale cremasca, e poi, come accennavo, l’affetto per la sua splendida famiglia (un servizio che il settimanale Credere gli aveva dedicato aveva per titolo Il teologo con i piatti da lavare, e non gli era per nulla dispiaciuto…). Da allora, ci seguimmo costantemente a vicenda, avendo la possibilità di collaborare a più riprese, fra l’altro al Festival della spiritualità di Noto (al quale Christian aveva donato un libretto in cui compendiava il cuore della sua riflessione, Luoghi della speranza), e in occasione delle iniziative del Centro di spiritualità diocesano di Crema, dove mi aveva invitato a riflettere sulla fragilità di Dio, ispirato dal libro che avevo curato dopo l’esperienza del terremoto. Nel frattempo, aveva preso a collaborare a diversi blog, ma anche a riviste come Jesus con una rubrica assai apprezzata (Un popolo chiamato Chiesa), e cominciava a produrre con regolarità volumi piccoli di dimensione ma sempre profondi e personalissimi, sulla linea di una considerazione di Dietrich Bonhoeffer che amava molto: “Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, ma essere umani: Cristo crea in noi un uomo”. Se dovessi sintetizzare il suo pensiero teologico, adotterei proprio questa frase, capace di illuminare anche le altre passioni che lo caratterizzavano: per Thomas Merton, sul quale l’avevo avuto come ospite a Uomini e Profeti, Hannah Arendt, Charles De Foucauld… Gli irregolari, come ha sottolineato nel suo ultimo intervento su Jesus dedicato a Paolo De Benedetti, uomini e donne sul confini, capaci di vivere un’appartenenza intensa e radicale senza mai farne un idolo e uno scudo contro gli altri. Fra le sue convinzioni, che non posso non condividere appieno, l’auspicio che la riflessione teologica in Italia non continui a essere una cosa che interessa solo i preti, anzi, una parte piuttosto elitaria dei preti: perché dovrebbe invece rientrare a pieno titolo nella comunicazione e nel dibattito pubblico. Diceva (a ragione): “Parlare di teologia non vuol dire solo occuparsi di Dio e della Chiesa ma anche dell’umano. Vedere come la fede in Dio e il vissuto della Chiesa hanno a che fare con l’esistenza nei suoi aspetti personali ma anche pubblici e sociali. Penso che l’assenza della teologia dalla cultura italiana renda entrambe più povere”.

Nel suo ultimo post, dello scorso quattro gennaio, Christian partiva da un versetto del salmo 4: “Nella pace mi corico e presto mi addormento solitario nella speranza mi fai riposare, Signore”, per commentare: “La pace spesso non c’è. Vivere è anche lottare per conservare la speranza. Soli con la speranza, quando tutto ciò che hai. La battaglia della fede è anche perseverare a sperare, anche quando la speranza è un filo esile o manca del tutto”. Un testo che mi aveva spinto a telefonargli, per solidarizzare e fargli gli auguri, ma soprattutto per capire meglio quanto gli stava accadendo. Non mi aveva nascosto la serietà della cosa, ma ci eravamo lasciati con l’augurio di risentirci presto. Cosa che non avverrà, purtroppo. Sono convinto che oggi, il giorno dopo i suoi partecipatissimi funerali nella sua parrocchia di San Giacomo, sarebbe stato molto felice per la notizia che la sua diocesi ha un nuovo vescovo, un vescovo amante della Bibbia e della teologia, don Daniele Gianotti. Conoscendo entrambi, credo che si sarebbero intesi al volo. Dentro di me, mi sono detto che è stato l’ultimo regalo di Christian alla chiesa di Crema.

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Vedere oltre. In ricordo di Christian Albini

Guido Dotti 12/01/2017
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 21/01/2017

“Vedere oltre”. Così Christian Albini aveva voluto intitolare il percorso di riflessioni proposte quest’anno dal Centro di spiritualità della Diocesi di Crema che dirigeva. E mi aveva chiesto di inaugurarlo il 12 ottobre dialogando con lui su “Vedere più lontano il volto di Dio: l’Islam”. Non poteva immaginare che un paio di mesi dopo l’improvvisa recrudescenza del male con cui aveva combattuto anni fa lo avrebbe portato nel volgere di appena una settimana ad andare oltre e contemplare faccia a faccia il Signore che aveva tanto cercato. Christian Albini si è spento nella pace lunedì 9 gennaio, attorniato dall’amore di sua moglie Silvia, di Davide, Michele e Sofia e di quanti, vicini e lontani, lo hanno amato. È andato a “vedere oltre”, e oggi qualcuno sta vedendo la realtà di quaggiù con le cornee che Christian ha voluto donare come ulteriore, naturale gesto di spossesso.
Ma a guardare e vedere oltre Christian si era abituato da tanto tempo, con una rara capacità di discernimento di quanto gli accadeva attorno, con la fraterna naturalezza con cui viveva la sua condizione di uomo, di cristiano, di padre e poi di insegnante, di teologo, di scrittore, di quotidiano dispensatore di pensiero attraverso il web, anche qui con quanta capacità di vedere oltre... Quando sei anni fa la nostra conoscenza e stima “virtuale” è divenuta amicizia e incontro tra persone, mi confidò: «È stato da parte mia un incontro atteso e di cui sono felice. Al di là di scritti e collaborazioni, ci sono cose più importanti: innanzitutto le persone. Finora per me Bose era stato soprattutto delle parole su dei libri. Il trovare dei volti, il cogliere – seppure per frammenti – qualcosa di una vita vera, il percepire delle consonanze è su tutt’altro piano».
L’insegnamento del Concilio gli era giunto incarnato per lui e per la sua comunità parrocchiale dall’amato don Agostino Cantoni e lo aveva reso un uomo e un cristiano saldo nella fede, radicato nella parola di Dio, animato dalla speranza – “Sperare per tutti” aveva intitolato il suo blog – rimasta sulla sua bocca e nel suo cuore fino alle ultimissime parole, generoso nella carità verso gli ultimi, che fossero i piccoli, i disabili o gli immigrati. Christian era convinto di non fare nulla di straordinario: è la nostra vita quotidiana che può essere straordinaria. E tale sapeva renderla per i suoi cari e per quanti incontrava: in tanti in questi giorni hanno ricordato la sua passione per la cucina, per il cibo preparato con cura e condiviso con amicizia, per le ordinarie incombenze di una padre di famiglia che diventano il normale tessuto in cui ciò in cui si crede si invera nella vita di comunione.
Come teologo non accademico Christian ha cercato e trovato uno stile accessibile senza venir meno al rigore e alla serietà. Se ripercorriamo i suoi libri – dai tre volumi Una pausa con Dio dedicati ai Vangeli feriali (Paoline) al recente Sopportare pazientemente le persone moleste (EMI), dall’Arte della misericordia (che volle pubblicato da Qiqajon in segno di amicizia e consonanza) a quel Cerco parole buone (Paoline) dove aveva raccolto le sue riflessioni su vita, amore e morte – troviamo a ogni pagina il suo interrogarsi su Dio, sugli altri e sulla vita, il suo porsi in dialogo attento e rispettoso, il suo sognare a occhi aperti – e quindi operare per – una Chiesa povera e per i poveri, una società accogliente e plurale, un mondo degno della grandezza di ogni essere umano.
Molti di noi oggi non hanno “perso” un amico: nel dolore e nella speranza della risurrezione lo hanno visto andare oltre a contemplare infine la realtà con lo sguardo stesso di Dio. Ora Christian Albini ha fatto sue fino in fondo le parole di un altro Christian, il priore di Tibhirine, che tante volte avevamo evocato insieme: ora «sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'islam [e di ogni credo] come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze».

* monaco di Bose, direttore delle edizioni Qiqajon
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