Enzo Bianchi La libertà nasce dalla lotta interiore
dal sito del Monastero di Bose
Una sintesi della lectio dal titolo “Lotta spirituale” che il priore di Bose terrà nella giornata conclusiva del 16° Festival Filosofia a Sassuolo.
I termini «asceta» e «atleta» non solo condividono la stessa etimologia, ma riguardano una cerchia ben più ampia di quanti mettono alla prova anche il proprio corpo nella ricerca di Dio o nelle competizioni sportive. L’agone, la lotta riguarda ciascuno di noi, chiamato ad affrontare il duro mestiere di vivere e l’esigente sfida del proprio essere «animale sociale». E se «agonismo» può indicare un’istanza di competitività, a volte eccessiva nel suo pretendersi criterio esclusivo, la lotta spirituale ne è il sano contrappunto.
Esigenza radicale per una vita interiore robusta, presente in tutte le religioni e in numerose scuole filosofiche, la lotta spirituale nella tradizione ebraico-cristiana appare fin dalle prime pagine della Bibbia: chiamato a «dominare» all’interno del creato, l’essere umano deve esercitare un dominio su di sé, sul male che lo minaccia: «Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo» (Genesi 4,7). Si tratta dunque di una lotta interiore, non rivolta contro esseri esterni a sé, ma contro le tentazioni, i pensieri, le suggestioni e le dinamiche che portano alla consumazione del male.
L’apostolo Paolo, servendosi di immagini belliche e sportive (la corsa, il pugilato… riemerge l’accostamento atleta/asceta), parla della vita cristiana come uno sforzo, una tensione interiore a rimanere nella fedeltà a Cristo, che comporta lo smascheramento delle dinamiche attraverso le quali il peccato si fa strada nel cuore umano, così da poterlo combattere al suo sorgere. Il cuore, infatti, è il luogo di questa battaglia. Il cuore inteso nel senso, derivato dall’antropologia biblica, dell’organo che meglio può rappresentare la vita nella sua totalità: centro della vita morale e interiore, sede dell’intelligenza e della volontà, il cuore contiene gli elementi costitutivi di quella che noi chiamiamo la «persona» e si avvicina a ciò che definiamo «coscienza». Ma tutto questo, nel cristianesimo, non è affatto semplicemente un movimento di «discernimento e di aggiustamento
psicologico»: questa, dice Paolo, è «la lotta della fede» (1 Timoteo 6,12), l’unica lotta che può essere definita «buona». È cioè la lotta che nasce dalla fede, dal legame con Cristo manifestato dal battesimo, che avviene nella fede, cioè nella fiducia della vittoria già riportata dal Cristo stesso, e che conduce alla fede, alla sua conservazione e al suo irrobustimento.
La lotta spirituale mira, secondo la tradizione cristiana, a custodire la «sanità spirituale» del credente. Disciplina indubbiamente faticosa, ma capace di trasformare la fatica in bellezza, qualità della vita autentica e della convivenza. Le è necessaria la resistenza spirituale nei confronti di pulsioni, suggestioni, ossessioni che sonnecchiano nel profondo del nostro cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una prepotenza aggressiva che le rende per noi tentazioni seducenti. Se il fine della lotta spirituale è l’apatheía, questa va intesa non nel senso dell’impassibilità, ma dell’assenza di patologie: così questo combattimento quotidiano mette in atto la valenza terapeutica della fede. Essendo la vita spirituale una realissima e concretissima vita, essa deve essere nutrita e corroborata per poter crescere e dev’essere curata quando è minacciata nella sua integrità.
Occidente ed Oriente cristiano hanno codificato ambiti e spazi in cui va esercitata tale lotta per mantenere sempre il credente in un sano atteggiamento di comunione e non di consumo. E le diverse tradizioni spirituali hanno anche indicato molto concretamente le modalità di tale lotta, a cominciare dall’indispensabile apertura del cuore in una relazione di fiducia con un «anziano», un «padre» spirituale. Ad essa si uniscono la preghiera, l’ascolto e l’interiorizzazione della Parola di Dio e una vita di relazione, di carità intensa e autentica. Questa lotta esige poi una grande capacità di vigilanza su di sé e sui molti rapporti che si intrattengono e sui quali può innestarsi la tentazione, nelle sue molteplici forme che abbracciano la molteplicità dei rapporti antropologici fondamentali.
Il rapporto col cibo, col proprio corpo e la propria sessualità, con le cose (in particolare i beni, il denaro), con gli altri, con il tempo, con lo spazio, con l’operare e, infine, con Dio.
Sempre, in tutti questi ambiti, la tentazione si configura come seduzione di vivere nel regime del consumo invece che in quello della comunione. Chi è sperimentato nella vita spirituale sa che questa lotta è più dura di tutte le lotte esterne, ma conosce anche il frutto di pacificazione, di libertà, di mitezza e di carità che essa produce. È grazie ad essa, infatti, che l’amore, ogni nostro amore viene purificato e ordinato.