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Matteo Nicolini Zani La grazia dell’interreligiosità

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     Come monaci e monache sensibili e impegnati nel dialogo con i fratelli e le sorelle di altre fedi e tradizioni religiose abbiamo atteso e seguito con particolare attenzione la recente visita di papa Francesco in Sri Lanka, terra in cui due forme di monachesimo tra le più antiche, quella buddhista (della tradizione Theravada, degli “Anziani”) e quella induista, vantano numerosi e autorevoli rappresentanti. Uno sguardo d’insieme alla platea della Bandaranaike Memorial International Conference Hall di Colombo, dove si è tenuto l’incontro interreligioso alla presenza di papa Francesco, basta a riassumere la “tavolozza interreligiosa” della società srilankese. In essa, le vesti di varie gradazioni di giallo, arancio e granata dei monaci buddhisti spiccavano per particolare intensità.
     Qui il papa, rivestito di una mantellina color zafferano dorato dal rappresentante della comunità induista, nel suo discorso pronunciato il 13 gennaio non ha mancato di affermare il dialogo tra identità chiare quale mezzo assoluto per tessere una vera fraternità e un’autentica comunione nella diversità. Riprendendo il documento conciliare Nostra aetate, papa Francesco ha affermato tra l’altro:
     … È una grazia essere qui con tutti voi, uomini e donne di tali grandi tradizioni religiose, che condividono con noi un desiderio di sapienza, verità e santità. Al concilio Vaticano II la chiesa cattolica ha dichiarato il suo rispetto assoluto e immutabile per le altre religioni. Ha affermato che essa “non rigetta nulla di ciò che è vero e santo in queste religioni. Essa tiene in grande stima i loro stili di vita e i loro comportamenti, i loro precetti e le loro dottrine” (Nostra aetate 2). Da parte mia, desidero riaffermare il rispetto sincero della chiesa per voi, per le vostre tradizioni e per ciò in cui credete … Il dialogo è essenziale se vogliamo conoscerci, comprenderci e rispettarci. Ma, come ha mostrato l’esperienza, affinché un tale dialogo e un tale incontro producano un effetto, esso deve poggiare su una presentazione integrale e sincera delle nostre rispettive convinzioni. Certo, questo dialogo accentuerà quanto diverse siano le nostre convinzioni, le nostre tradizioni e le nostre pratiche. Ma se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente ciò che abbiamo in comune. Nuove vie si apriranno per una reciproca stima, cooperazione e amicizia …

     Ringraziando papa Francesco, uno dei venerabili monaci buddhisti presenti non ha mancato di auspicare un incontro più ravvicinato tra il papa e il mondo buddhista, attraverso la visita – purtroppo non in programma nella breve visita papale – ai luoghi santi del buddhismo srilankese.
     Quest’invito, in verità, era già stato porto al papa in maniera informale da un altro monaco buddhista poche ora prima, immediatamente dopo il suo atterraggio sull’isola, che lo aveva privatamente inviato a fargli vista al suo tempio. E così è stato il giorno successivo, 14 gennaio: “Lui è venuto a trovarmi in aeroporto, e io sono andato a trovarlo a casa sua”, dirà papa Francesco con disarmante semplicità in un’intervista all’indomani della visita fuori programma al tempio buddhista, che lo ha visto accompagnato a rendere omaggio ad alcune reliquie di due discepoli del Buddha conservate nello stupa del tempio e ad ascoltare i canti dei monaci che hanno accompagnato l’apertura straordinaria della teca con le reliquie.
     “Come è stata la visita? Perché sono andato?”, a queste domande così ha risposto lo stesso papa Francesco:
     Il capo di questo tempio buddhista è riuscito a farsi invitare dal governo per andare all’aeroporto e lì … mi ha salutato e ha chiesto di visitare il tempio … Poi ne ho parlato col cardinale, ma non c’era tempo … E ieri, tornando da Madhu, c’era la possibilità; ha telefonato e siamo andati. In quel tempio ci sono reliquie dei discepoli di Budda, di due. Per loro sono molto importanti. Queste reliquie erano in Inghilterra e loro sono riusciti a farsele ridare: bene. E così lui è venuto a trovarmi in aeroporto e io sono andato a trovarlo a casa sua … Ieri, a Madhu, ho visto una cosa che mai avrei pensato: non erano tutti cattolici, neppure la maggioranza! C’erano buddhisti, islamici, induisti, e tutti vanno lì a pregare; vanno e dicono che ricevono grazie! C’è nel popolo – e il popolo mai sbaglia – c’è lì il senso del popolo, c’è qualcosa che li unisce. E se loro sono così tanto naturalmente uniti da andare insieme a pregare in un tempio – che è cristiano ma non è solo cristiano, perché tutti lo vogliono – perché io non dovrei andare al tempio buddhista a salutarli? Questa testimonianza di ieri a Madhu è molto importante. Ci fa capire il senso della interreligiosità che si vive nello Sri Lanka: c’è rispetto fra loro … E questa interreligiosità come fratelli, rispettandosi sempre, è una grazia.
     L’incontro con un monaco, un fratello in cammino su un’altra via religiosa, l’ascolto profondo di lui e la gioia di essere ospitato in casa sua ha dunque naturalmente, spontaneamente portato papa Francesco al gesto del farsi incontro al fratello che gli si era fatto prossimo e a sintonizzarsi con quel senso di interreligiosità percepito come una grazia. Naturale, senza timore né esitazione la sua conclusione: “Perché io non dovrei andare al tempio buddhista?”.
     Le parole di p. Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ben sottolineano lo stile con cui è avvenuto quest’incontro, tanto semplice quanto di ampia e profonda portata per chi lo sa ascoltare: “È stato un momento breve, ma significativo della naturalezza, vorrei dire dello stile familiare con cui il papa porta avanti i rapporti con le persone, anche delle altre religioni. È un po’ la sua cultura e pedagogia dell’incontro personale che fa andare avanti poi delle grandi cause come quella del dialogo interreligioso”.
     Come ha lucidamente affermato fr. Enzo Bianchi, priore di Bose, in un articolo di commento all’incontro interreligioso di Colombo, “quello di Francesco è un appello a rispetto reciproco, così come inteso dal concilio: non un insieme di buone maniere, non un indifferentismo etico, ma una consapevolezza che nell’altro è impressa in modo indelebile l’immagine di Dio e questo non può che aprire alla mutua stima, alla cooperazione e anche all’amicizia. Infatti, come ha ricordato il papa all’arrivo all’aeroporto di Colombo, ‘la diversità non è una minaccia’, ma occasione di dialogo autentico, di confronto nella verità”.

  

Noi monaci e monache del gruppo italiano del DIM ci sentiamo incoraggiati da queste parole e da questi gesti di papa Francesco nella nostra “avventura di incontro e di comunione” nella “diversità fraterna”.
    Siamo grati altresì di accogliere le parole, stimolanti e insieme responsabilizzanti, che il papa ha recentemente indirizzato a noi come a tutte le religiose e i religiosi cattolici il 21 novembre 2014 in un passo della sua lettera apostolica scritta in occasione dell’anno della vita consacrata:

     Non possiamo poi dimenticare che il fenomeno del monachesimo e di altre espressioni di fraternità religiose è presente in tutte le grandi religioni. Non mancano esperienze, anche consolidate, di dialogo intermonastico tra la chiesa cattolica e alcune delle grandi tradizioni religiose. Auspico che l’anno della vita consacrata sia l’occasione per valutare il cammino percorso, per sensibilizzare le persone consacrate in questo campo, per chiederci quali ulteriori passi compiere verso una reciproca conoscenza sempre più profonda e per una collaborazione in tanti ambiti comuni del servizio alla vita umana. Camminare insieme è sempre un arricchimento e può aprire vie nuove a rapporti tra popoli e culture che in questo periodo appaiono irti di difficoltà.
     A noi dunque “valutare il cammino percorso” per poter discernere “quali ulteriori passi compiere” nel campo del dialogo interreligioso monastico

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