Clicca

La verità custodita nelle ore di Cristo (R.Sangalli)

stampa la pagina
Curiosando tra i particolari, ogni volta si scopre che il vangelo è prodigo di informazioni cronologiche, in buona armonia tra i quattro testi canonici.


Le informazioni storiche incrociabili con quelle di fonti extra-evangeliche hanno portato ad individuare con sicurezza gli anni relativi alla successione delle festività ebraiche secondo il calendario lunare. Con estrema logica riconosciamo il periodo dell’anno cui sono riferiti i vari episodi. Per la Pasqua decisiva di Gesù c’è un rimando preciso anche ai giorni della settimana. 



Non dovrebbe perciò stupire più di tanto la possibilità di addentrarci anche nei dettagli dell’orario in cui avvennero i fatti: all’epoca in cui Gesù visse i propri anni terreni il tempo era scandito con ordine, normato da turni di lavoro, da turni militari e dalle regole imposte dal sinedrio e dai romani.



Per il giorno ci si regolava con le meridiane, mentre in assenza di sole esistevano già dei prototipi di orologio ad acqua. Anche senza ricorrere al massimo delle tecnologie allora disponibili, il tempo era scandito dall’osservazione della natura. Naturalmente se agli equinozi la lunghezza del “giorno” e della “notte” si equivaleva, con dodici ore ciascuno, a ridosso dei solstizi cambiava la durata delle ore diurne rispetto a quelle notturne.   



In riferimento ad ore del “giorno” il vangelo ci lascia ricordi indelebili di memorie personali come ad esempio quelle di Giovanni quando conobbe Gesù (Gv 1,39), nell’ora decima, alle quattro del pomeriggio. Nel vangelo di Matteo c’è la scansione della giornata lavorativa (Mt 20,1-9), dallo spuntar del sole, passando per le “assunzioni” dell’ora terza, della sesta, della nona, fino a quelle dell’undicesima ora.  E’ ancora la logica della “diurna laus”: lodi, ora media, vesperi, compieta.



Le ore della “notte” erano invece suddivise in quattro vigilie o veglie, necessarie per ritmare i turni di guardia delle sentinelle. Ne troviamo traccia anche nel vangelo di Matteo a proposito della navigazione notturna dopo la prima moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14,25): Gesù camminò sulle acque alla quarta vigilia della notte. 



Di questa turnazione notturna ci parla Gesù stesso (Mc 13,35-37) specificandone lo svolgersi: sera, mezzanotte, canto del gallo e mattina. Questo standard, variabile nel numero di minuti a seconda delle stagioni, ma immutabile nei ritmi, prevedeva una prima veglia dalle 18 alle 21, poi una seconda fino alla mezzanotte, una terza fino al canto del gallo (che i romani chiamavano gallicinium) ed una quarta fino al mattino, cioè quando iniziava l’ora “prima” delle dodici che scandivano il giorno. 

All’interno delle “veglie” lunghe circa tre ore il tempo aveva delle peculiarità proprie. In particolare nella “quarta vigilia”, che per semplicità consideriamo tra le 3 e le 6, distinguiamo il periodo tra il primo canto del gallo (circa le 3 del mattino) ed il secondo canto (che i romani chiamavano canticinium): si comprende meglio il senso del dettaglio che troviamo nel vangelo di Marco (Mc 14,72)  quando racconta il rinnegamento di Pietro, maturato tra le 3 e la 4 del mattino, annotandosi con scrupolo: “prima che il gallo canti una seconda volta”. Pietro non si è dimenticato nulla di quella nottata: in questo caso il vangelo di Marco (le memorie di Pietro), è il più particolareggiato.    



L’osservazione accurata delle ultime ore della notte, nell’articolato susseguirsi dei fenomeni naturali (l’aurora, l’alba, il sorgere del sole ed il mattino non sono semplicisticamente dei sinonimi), associa caratteristiche proprie ai primi chiarori (per i romani il diluculum, dopo le 4), cui fa seguito una progressiva luminosità (l’albeggiare, tra le 5 e le 6) che termina con il sorgere vero e proprio del sole (alle 6 circa), che avviene circa un’ora dopo il diluculum. Niente di sorprendente per contadini, pescatori, operai e sentinelle; certamente ostico per esegeti salottieri che si alzino tardi.



Tutto questo è per descrivere la “teoria”: passando al caso concreto, cioè indagando il luogo ed i giorni attorno al 14 nisan, 1 aprile del 33 d.C., è interessante sapere che a Gerusalemme, proprio in questi giorni, il sole sorge alle 5,30: quindi il diluculum è attorno alle 4,30. E’ questo l’orario in cui, la domenica, le donne si mossero da casa per raggiungere il sepolcro, trovandolo vuoto. 



Regolando le nostre attuali lancette sul canto del gallo udito da Pietro, possiamo ragionevolmente immaginare che il rinnegamento sia avvenuto prima delle 4 del mattino, sul finire del buio, nelle prime ore del venerdì che noi oggi facciamo iniziare a mezzanotte. Di conseguenza il processo davanti al sommo sacerdote è da situare in piena notte, durante la “terza vigilia”.  



Nei vangeli abbondano i particolari significativi sul seguito di queste drammatiche ore. Matteo (Mt 27,1) scrive che fattosi giorno (circa alle 6) ci fu un’assemblea che deliberò di condurre Gesù da Pilato. Subito dopo Giuda va a suicidarsi. Per i romani il “mattino” era il periodo tra le 6 e le 9. 



Anche per Marco (Mc 15,1) la ricostruzione collima. L’ora terza in cui Marco pone la crocifissione (Mc 15,25) non indicherebbe in realtà l’innalzamento della croce sul Calvario, ma la deliberazione di Pilato di crocifiggere Gesù dopo averlo fatto flagellare: è l’ora della condanna, le 9 del mattino.



Nel vangelo di Luca, tra le 6 e le 9, un tempo comunque sufficiente per il compiersi dei fatti descritti dagli evangelisti, Gesù viene anche condotto da Erode Antipa (Lc 23,7-11). 



Nel vangelo di Giovanni, storicissimo come gli altri, la descrizione degli eventi è del tutto coerente: era già sorto il sole quando Gesù fu condotto da Pilato. La flagellazione è un estremo tentativo di “limitarsi” a quella tortura per calmare gli animi degli accusatori di Gesù. Era anche però una pratica collegata alla condanna a morte, da cui la notazione appena citata del vangelo di Marco. Al “sondaggio pilotato” che porta a preferire Barabba quale condannato da liberare per la Pasqua, segue poi un ulteriore tentativo di Pilato di tergiversare (Gv 19,12), ma inutilmente. 



Papa Benedetto XVI nel suo secondo “Gesù di Nazaret” offre qui delle pagine imperdibili (cap. 7, par. 3). E’ la parabola della regalità di Cristo, dall’ingresso in Gerusalemme tra giubilo ed osanna del popolo festante, alla condanna a morte voluta dal potere di pochi: “Ecco il vostro re” (Gv 19,14). L’interpretazione pragmatica del “diritto” resta inesorabilmente lontana dalla verità e dal bene, in un terribile paradosso in cui la “pace” collide con la giustizia: c’è tutta la nostra povertà umana. Non c’è pace contro la verità: così conclude il Santo Padre questo capitolo del suo libro.   



I quattro vangeli costituiscono una preziosa materia prima della nostra possibilità di entrare in contatto con la storia nelle mani di Dio. Sono tutti come compenetrati, articolando sottolineature minuziose di quanto accade, portando ciascuno un dettaglio in più, mai smentendo quelli colti da un differente punto di vista: tipico di chi scrive ciò che vede e scrive ciò che è stato visto con ancora presenti i testimoni. Ottimi resoconti giornalistici, invidiabili per originalità e libertà espressiva.



E’ giunto il momento di smetterla di screditare la veridicità storica di ciò che scrivono gli evangelisti. E’ il momento di chiederci davvero chi è il “nazareno”, questo Gesù che porta la croce.



Tra le 11 e le 12 Gesù  compie circa 600 metri di strada, un po’ in salita. Pur aiutato da Simone di Cirene, giunge stremato al Calvario, all’ora sesta, a mezzogiorno: si fece buio su tutta la terra. Padre, per la Sua dolorosa passione abbi misericordia di noi e del mondo intero.
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli