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Severino Dianich “La guerra: il grande inganno”

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Severino Dianich 

11 dicembre 2025

Una bella notizia, che farà inorridire i patriottici, è pubblicata da Avvenire del 3 dicembre.

Alla domanda, proposta dall’Autorìtà garante per l’infanzia e l’adolescenza a un campione di adolescenti (14-18enni): «Se il mio Paese entrasse in guerra, mi sentirei responsabile e, se servisse, mi arruolereì. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?”, il 68% dei ragazzi ha risposto di non essere d’accordo. 

Si potrebbe anche dire che non è una bella notizia, perché testimonierebbe la diffusa e preoccupante fragilità dei nostri ragazzi. Ma è una bella notizia venire a sapere che la nuova generazione ha demitizzato i sedicenti valori della guerra, prendendo coscienza dell’insensatezza dei suoi orrori e della sua fondamentale schifezza. 

Al di là della sensazione immediata, derivante dalla visione dei suoi effetti disastrosi, resta necessario, però. fare un passo in avanti: sbugiardare le ragioni della guerra. 

Dietro ogni mitragliata sparata per la difesa della patria, da un lato, sul fronte e sotto le macerie dei bombardamenti, cadono i morti e, dall’altro lato, piovono i dollari e i dividendi nelle tasche dei signori della guerra. I proiettili costano e chi li ha venduti ci ha guadagnato. Una sola scarica di mitraglia, affidandoci alle stime abitualmente diffuse, può costare fino a 20 euro. Un solo soldato, in una giornata di sparatoria di bassa intensità, può farci spendere fino a mille euro al giorno. Sono mille euro che, ovviamente, vanno a finire nelle tasche di qualcuno. 

Pur lasciando all’IA di chatgpt la responsabilità ultima della veridicità dei dati, è utile vedere la scheda che ce ne viene fornita a proposito della crescita dei dividendi, avvenuta nell’arco di un anno, in favore di chi investe nelle società che producono armi: RTX +45%; Leonardo +79.8%; General Dynamics +22%; Northrop Grumman +16%; L3Harris +15-16%. 

Sono dati, ovviamente, che non ignorano né il presidente Macron che sta preparando, come da lui stesso è stato dichiarato, la popolazione del suo paese alla guerra, né il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, il generale Carmine Masiello che, sulla stessa linea, in un’intervista del 2 ottobre 2025, ha ammonito gli italiani che «se si va in guerra non combatte solo l’Esercito, combatte l’Italia intera». 

Da Macron i francesi, e dal generale Masiello gli italiani, hanno il diritto di sapere se essi, mandandoci in guerra per l’Ucraina, sono sicuri di vincerla e se il prezzo da pagare per vincerla, il numero dei morti, sia in qualche modo proporzionato al valore dell’indipendenza e della libertà dell’Ucraina, che si intende tutelare. 

Si dice che, in realtà, è l’Europa chiamata a difendere se stessa dalle mire espansionistiche di Putin, ma i popoli hanno buona memoria e non dimenticano di essere già stati ingannati su presunti pericoli, che poi si sono svelati non veri, quando l’amministrazione Bush, per giustificare la seconda Guerra del Golfo, con i suoi 13.000 morti solo fra gli irakeni, sosteneva essere necessario neutralizzare Saddam, perché egli possedeva armi chimiche e biologiche, cosa che risultò non vera. 

Progettare una guerra senza prevedere i morti che costerà, per un politico e un militare, è immorale già in partenza, perché chi progetta una guerra pretendendo che venga considerata giusta, deve, prima di tutto, poter esibire la certezza che la vincerà, e poi che il numero dei morti previsto è, per quanto mai lo si possa dire con un minimo di decenza, proporzionato al valore da difendere, l’indipendenza e la libertà del paese. 

Anche questi, pur altissimi, valori non sono un valore assoluto e l’Ucraina, con i suoi 39 milioni e mezzo di abitanti corre il rischio di veder morire la maggioranza della sua popolazione, mentre la Russia resta in grado di attingere coscritti dai suoi 143 milioni e mezzo di abitanti, tanti quanti le sono necessari per continuare la guerra. 

È notorio e assodato che, a guerra finita, appurare il numero dei morti è impresa molto difficile, non solo per le difficoltà obiettive di registrare puntualmente tutti i dati degli eventi che occorrono, ma anche, e soprattutto, perché i governi li occultano. Ben si sa che la verità e le garanzie costituzionali di un regime democratico sono fra le prime vittime della guerra. Caso mai i governi pubblicano vistosamente, e maggiorandolo, il numero dei morti del fronte opposto. 

Eppure, anche Gesù, per suggerire agli aspiranti discepoli suoi di fare bene i conti sul prezzo che dovranno pagare per seguirlo, invitava a domandarsi se mai un re, «partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace» (Lc 14,31-32). Se oggi questa saggezza degli antichi viene dimenticata, è perché sotto le ragioni fasulle, accampate per giustificarla, ci sono le ragioni nascoste di chi ci guadagna. 

Impostando la riflessione a proposito della guerra e della pace sulla base concreta delle cose che accadono e non solo su argomentazioni di carattere teoretico, sembra di dover dire che quanti intendono promuovere le politiche di pace debbano, prima di tutto, studiare la guerra e metterne a nudo il grande inganno.


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