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Marinella Perroni «Diaconato femminile? Andiamo oltre»

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Intervista a Marinella Perroni
Avvenire 
a cura di Chiara Santomiero
pagina a cura dell'Azione Cattolica
martedì 11 marzo 2025


Marinella Perroni è tra le più note teologhe italiane. Docente di Nuovo Testamento presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, è stata presidente del Coordinamento teologhe italiane. Ha diretto, con Stella Morra, la collana Sui generis per Effatà. Nel 2024 pubblica per Piemme Colloqui non più possibili con Michela Murgia.
Tra le ultime pubblicazioni a sua cura, La cattedra della croce. Variazioni sulle ultime parole di Gesù (Queriniana), che raccoglie una serie di riflessioni bibliche e spirituali sulle ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce, offrendo un insolito percorso meditativo. A ogni capitolo i diversi autori si confrontano in profondità con uno dei momenti più intensi della passione, interpretando le ultime parole di Gesù alla luce della contemporaneità. 

«Coordinamento di cosa? ». « Delle teologhe ». «Geologhe?». « No, teo-lo-ghe». Marinella Perroni sorride ripensando agli esordi del Coordinamento teologhe italiane (Cti) che ha fondato nel 2003 assieme ad altre dieci colleghe. Quando chiedeva l’allaccio di un’utenza per la sede del nuovo organismo, accadeva che per alcuni interlocutori l’idea di donne esperte di teologia fosse un oggetto sconosciuto. «Noi invece avvertivamo l’esigenza di metterci insieme perché sentivamo che i tempi erano maturi per dare voce e visibilità alle donne in teologia». 
Le donne arrivano nelle facoltà teologiche delle università pontificie dopo il Concilio Vaticano II. Il Concilio consente alle donne di accedere al cursus maior, con i tre gradi accademici di baccellierato, licenza, dottorato, quando il solo baccellierato permetteva ai maschi l’accesso all’ordinazione sacerdotale. «Questo evento – spiega Perroni – dà una spinta molto forte alla presenza delle donne nella Chiesa perché le qualifica, ma crea dei cortocircuiti. Diverse donne raggiungono il dottorato, ma non è facile poterlo spendere perché le università preferiscono i presbiteri anche per motivi economici: preti e religiosi godono di un sostegno, a differenza dei laici, maschi e femmine. Nonostante le difficoltà, per le donne è cominciata la “grande marcia”». 
I tempi dovevano essere davvero maturi perché presto arriva da parte della Conferenza episcopale italiana il riconoscimento del Cti come associazione teologica al pari delle altre e anche l’apprezzamento dei colleghi. «Dopo i primi tempi di battutine sull’apartheid instaurato dalle teologhe – continua Perroni –, poiché nessuna di noi, in quanto biblista o patrologa o storica ha lasciato la sua associazione di disciplina, si è capita la nostra necessità di un ulteriore ambito di ricerca specialistica, la teologia femminista o in prospettiva di genere». 
La crescente presenza di teologhe non può non produrre un cambiamento. «Si può dire che nell’arco di tempo che va dal Vaticano II, in cui per la prima volta è stato ammesso un gruppetto, fino all’ultimo Sinodo nel quale le donne hanno avuto diritto di parola e di voto, l’azione delle studiose che hanno approfondito, insegnato, scritto di teologia, ha contribuito a cambiare il tessuto culturale ed ecclesiale». Non senza resistenze e chiusure. 
Finché non è arrivato Francesco. In effetti, afferma Perroni, «se il processo che Francesco, bene o male, ha innescato perché le donne possano avere dei ruoli di autorità nel contesto ecclesiale – quel processo per cui ha coniato il neologismo suggestivo “smaschilizzare la Chiesa” –, può essere recepito, discusso, portato avanti, è perché il Concilio aveva già smaschilizzato la teologia. Oggi si raccolgono i frutti di un lungo cammino che ha trasformato di fatto l’assetto della Chiesa cattolica». Bergoglio non è tenero con i teologi, maschi e femmine, ma ha voluto quattro sessioni di studio con i cardinali del consiglio C9 sul tema “smaschilizzare la Chiesa”, invitando un teologo e undici teologhe di cui diverse del Cti: «Eravamo esterrefatte: ci sono voluti più di vent’anni, ma alla fine è arrivato il riconoscimento». Senza toccare il problema dei ministeri: « Francesco – afferma Perroni – ha scelto la strada di non voler clericalizzare le donne. Ha chiesto che al Sinodo non fosse discusso il tema del diaconato femminile. Poi, però, si è arrivati all’articolo 60 del Documento finale, sul ruolo delle donne nella Chiesa, che ha avuto il maggior numero di voti contrari. 
C’è chi lo trovava troppo aperto e rischioso e chi ancora troppo cauto». Un tema, quello del diaconato femminile, che a volte rischia di assorbire il dibattito. «Per i giornalisti e l’opinione pubblica sembra essere l’unico problema della Chiesa! Non da oggi. Quando mi sono iscritta a teologia nel 1971, una giornalista di una rivista femminile è venuta a intervistarmi a Sant’Anselmo insieme a un’altra matricola. Titolo dell’articolo: Studiano per diventare le donne prete di domani. E nel testo scriveva: “Nel corso dell’intervista chiediamo a Marinella se vuole fare il sacerdote: abbassa gli occhi, non risponde, si capisce che è il suo profondo desiderio”. Ma quando mai!». La questione non è di poco rilievo. «Alcune Chiese hanno accettato i ruoli ministeriali delle donne, con più o meno problemi. 
La Chiesa anglicana si è spaccata e ha pagato un prezzo alto. Francesco non lo affronta anche per non lacerare la Chiesa cattolica». Il Cti, che conta quasi 200 socie, in questi anni ha agito a più livelli. 
Intanto “dissotterrando” e rimettendo in circolo il patrimonio costituito dagli interventi delle donne che hanno letto e parlato di Bibbia nei tanti secoli che ci separano dalle origini. Attraverso anche i corsi online attivati si è proposto «un discorso teologico prima accessibile, poi gustoso e intrigante anche per i non credenti». 
Non da ultimo il piano più “politico” perché «la teologia fatta da donne mette in discussione una società patriarcale costruita anche attraverso una certa interpretazione della Bibbia, con l’obiettivo di un mondo più giusto che supera una gerarchia fondata sulla differenza di genere».



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