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Ipotesi su Dio nell'epoca del big bang

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Alla luce delle più recenti scoperte della fisica, è più razionale credere che non credere: solo così si spiegano l’origine e l’ordine dell’universo. Una tesi che fa discutere...
 

Il rapporto tra Dio e scienza nel corso dei secoli non è sempre stato dei migliori. In alcuni periodi storici le nuove acquisizioni scientifiche sembravano cacciare sempre più fuori dal nostro orizzonte l’idea di un creatore o di un’entità trascendente, rendendola superflua, se non irrazionale. Valgano come esempi la scoperta dell’eliocentrismo o dell’evoluzionismo. Nel XIX e nel XX secolo gli impressionanti progressi compiuti, specie nell’ambito della fisica, hanno creato un nuovo, inaspettato scenario, nel quale ci si domanda se Dio abbia di nuovo posto. 

Ne sono certi Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, autori di Dio. La scienza, le prove (Sonda Editore). Un’opera che lancia una “provocazione” a scienziati, filosofi, teologi, credenti e non, a chiunque sia interessato a scoprire chi siamo e da dove veniamo. Una “provocazione” che suona così: le più recenti conquiste della fisica postulano razionalmente l’esistenza di un Dio creatore. 

Quali prove vengono portate a sostegno di questa tesi? La consapevolezza che l’universo non è, come si è creduto per secoli, eterno, ma destinato a spegnersi, cioè mortale, esattamente come noi uomini. Lo dimostra anzitutto la teoria della termodinamica del 1824, confermata nel 1998 dalla scoperta dell’espansione accelerata dell’universo. Ma la morte termica dell’universo – dicono gli autori del saggio – implica che esso abbia avuto un inizio e questo a sua volta presuppone un creatore. In secondo luogo, tra gli anni ’20 e ’60 del XX secolo l’ipotesi del Big Bang ha descritto in modo tanto affscinante quanto certo l’inizio dell’universo, e con esso la “nascita” dello spazio, del tempo e della materia. Che cosa c’era “prima” di tutto ciò? Non può che essere un’entità a-spaziale, a-temporale, a-materiale, vale a dire trascendente, concludono Bolloré e Bonassies. Origine, evoluzione e funzionamento dell’universo si fondano poi sull’equilibrio delicatissimo di una serie di valori-parametri, definiti fin dal primo istante della sua comparsa, che se variasse anche solo di una frazione decimale avrebbe come esito ineludibile il collasso nel nulla o nel caos. Non può essere un caso, incalzano gli autori: solo un’intelligenza può aver predisposto questo congegno ordinato. Infine, spostandoci dalla cosmologia alla biologia, alla fine del XX secolo le scienze hanno mostrato come il passaggio dalla materia inerte al vivente rappresenti il superamento di un abisso incolmabile, il verificarsi di una convergenza di fattori a tal punto improbabile da essere inspiegabile con le sole leggi del caso. 

Queste sono le “prove” dell’esistenza di Dio avanzate nel saggio, che contiene molto altro: un capitolo che ricostruisce le persecuzioni del nazismo e dello stalinismo contro tutti quegli scienziati che, con le loro ricerche, aprivano alla possibilità di un Dio (i regimi totalitari non possono accettare che esista qualcosa di più grande a cui gli uomini possono appellarsi); quello che, attraverso 100 citazioni, racconta come tanti ricercatori si siano imbattuti in qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione (Max Planck: «C’è una realtà metafisica alla soglia della realtà sperimentale»); interessante il focus su Kurt Gödel, uno dei più grandi geni degli ultimi secoli. E poi le pagine sulla Bibbia, su Gesù, sui miracoli… 

Il valore di Dio. La scienza, le prove è culturale, perché intende riaprire il dibattito tra la comunità scientifica e la religione, ma anche la filosofia e la società civile, per troppo tempo arroccate su fronti contrapposti: è tempo che tornino a confrontarsi, ciascuno nel rispetto della specificità dell’altro. E a giudicare dal vivace dibattito suscitato in Francia dalla pubblicazione del volume, si può dire che l’obiettivo sia stato raggiunto. Anche oggi, nell’epoca in cui la scienza ha compiuto progressi straordinari, si deve e si può parlare di Dio: questo è il messaggio da cogliere. 

Quanto alla consistenza scientifica delle “prove”, devono essere gli addetti ai lavori a valutarle, senza pregiudizi, alla luce delle scoperte che via via illuminano il nostro sguardo. Per volontà degli autori il linguaggio è divulgativo, forse, in alcuni passaggi, con una tendenza alla semplificazione: il ragionamento raggiunge troppo in fretta conclusioni considerate oggettive. L’obiezione di fondo è che, se è certo che l’universo ha un inizio e una fine, ciò non implica necessariamente l’esistenza di un Dio creatore, ma presuppone un’altra “realtà”, un’altra “dimensione” che oggi, con gli strumenti di cui disponiamo, non siamo in grado di conoscere, ma che in futuro potrebbe essere svelata. E poi, è corretto pretendere di arrivare a Dio attraverso la scienza, o si tratta di due piani distinti e che tali devono restare? 

Paolo Perazzolo 


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