Paolo Crepet "Questo è il tempo del “figliarcato”, non del patriarcato"
"Questo è il tempo del “figliarcato", non del patriarcato». L’affermazione, forte, arriva da Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, saggista e opinionista. Crepet a Lecce, nel Teatro Politeama Greco, con la conferenza-spettacolo «Prendetevi la luna» (sold out) che trae ispirazione dall’omonimo libro pubblicato da Mondadori, nel quale l’autore riflette e invita a riflettere sulla necessità di combattere l’accidia, che ormai ci assale, continuando a sognare.
Crepet, il suo “Prendetevi la luna” ricorda un po’ “Stay hungry stay foolish”, il motto di Steve Jobs. Bisogna osare per essere felici?
«Ognuno è felice o pensa di esserlo a modo suo, naturalmente. Non penso che ci sia una ricetta per la felicità. Quello che può fare una persona esperta, quello che cerco di fare io, è dire cosa ne penso. Non è però un modo per dire ai ragazzi prendete appunti e fate così. Io dico fate come vi pare, però poi ci sono le conseguenze».
Quali?
«Il fatto di vivacchiare, di vivere oggi per oggi. Penso ad una generazione che in parte ha scelto la via comoda, che non si pone l’inquietudine come un metodo necessario».
Lei è intervenuto in tanti dibattiti sulla tragica vicenda di Giulia Cecchettin. Cosa rimarrà? Può essere davvero questa la goccia per innescare un cambiamento culturale sul tema della violenza sulle donne?
«Sappiamo che lo sconcerto, anche la rabbia sociale che ci possono essere all’indomani di un’ingiustizia, sono cose buone e giuste. Il problema è capire che cosa fai per mantenere quel fuoco di interesse, di indignazione. Ci si avvale di eventi: il funerale, l’ospitata da Fazio, poi ci sarà la cerimonia di laurea a memoria. Si parla dell’istituzione di una fondazione, che può fare molto localmente e basta. Tutto quello che c’è da fare poi riguarda in parte le leggi dello Stato, ma anche questo è già stato fatto. Non so cosa ci si possa aspettare di più, se non un lento, complicato avanzamento delle nostre critiche».
Tanti accusano il padre di Giulia di sovraesposizione mediatica. È così?
«Chi usa questo tipo di critica secondo me fa solo del cattivo gusto. Nessuno dovrebbe giudicare il fatto che quest’uomo abbia parlato al funerale o che sia andato in una nota trasmissione, dove gli è stato concesso del tempo senza contraddittorio come è giusto che fosse. Tutto questo percorso mi sembra non giudicabile da noi se non con grande rispetto e plauso a chi non si è rinchiuso in casa piangendo, ma ha avuto il coraggio di esporsi con molta dignità».
Ma qual è il rischio poi?
«Quello della solitudine. Il rischio che quando si spegne il clamore dell’attenzione mediatica rimani solo. Lui rimane solo così come sua figlia. Ritrovarsi soli è un salto, tanto più alto quanto più ci si è esposti. Il sentimento da parte del grande pubblico non può che scemare».
Un dato sul quale riflettere è che oggi a uccidere siano tanti ragazzi – pensiamo a Filippo Turetta ma anche all’assassino dei fidanzati di Lecce lo scorso anno. Cosa sta accadendo a questa generazione di giovani?
«Noi abbiamo parlato più o meno a proposito o a sproposito di patriarcato. Io non ho sentito nominare un altro fenomeno che è invece più palese, che è il “figliarcato”. Se ne parla poco perché non ci piace ma è così. È l’assenza di un padre, a ben vedere, più che la presenza, il fatto rilevante, e soprattutto, dal punto di vista culturale, la “figliocrazia”, cioè una democrazia basata sui figli».
Per combattere questo fenomeno non va bene neanche l’educazione sentimentale nelle scuole di cui tanto si parla?
«L’educazione sentimentale è un autogol. È come dire che nelle nostre scuole di ogni ordine e grado non ci sono sentimenti. Se io devo fare un ripassino sui sentimenti è perché temo che non ci siano. E questo è già gravissimo. Io non voglio pensare che in un liceo non vi siano sentimenti. Se pensiamo questo allora è sbagliata la scuola tout court. Questo è un modo per odiare i giovani e io lo trovo pessimo».