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Enzo Bianchi "Una radicale novità nella vita della Chiesa”

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giugno 2023 
Una radicale novità nella vita della Chiesa
per gentile concessione dell'autore

Da più di due anni seguiamo lo svolgimento del Sinodo registrando le esitazioni e soprattutto le domande poste dal popolo di Dio e dai vescovi stessi circa le procedure che si sarebbero adottate per la sua realizzazione.

Di decisiva importanza era stata l’emanazione da parte di papa Francesco della costituzione apostolica Episcopalis communio nel 2018: con quel documento si confermava e si precisava il cammino sinodale come necessitas per la Chiesa di oggi e di domani,«la grande sfida per la Chiesa nel Terzo millennio», ma non si indicavano mutamenti nella celebrazione rispetto ai Sinodi del recente passato istituiti da Paolo VI.

 

Eravamo,perciò, in attesa di interventi del Papa, di indicazioni sullo svolgimento del Sinodo a partire dall’assemblea dell’ottobre prossimo a Roma, che sarà seguita da un’altra sessione nel 2024, così da permettere un confronto, un tragitto meditato su cui l’opera del tempo possa lasciare il segno e favorire la maturazione di ciò che nel Sinodo sboccia.

 

Non sono un pessimista e non sono neppure tentato dalla papolatria: ho ricevuto e assunto come postura personale un rigoroso senso della misura, frutto di valutazione e confronto. Perciò liberamente mi sento di dire che con l’intervento di Francesco, esposto da un comunicato della segreteria del Sinodo (27 aprile 2023), finalmente si è stabilita una procedura sinodale che segna una radicale novità nella vita della Chiesa. Non amo definire le innovazioni di papa Francesco una rivoluzione, ma certamente questa è una “riforma”, la prima vera riforma tentata da questo Papa.

 

Che cosa è stato legiferato?

 

Dopo secoli, quelli della Chiesa primitiva nata dalla Pentecoste, comincia a cadere quel muro di separazione tra gerarchia e popolo, tra chierici e semplici fedeli, e anche in parte tra uomini e donne, che aveva determinato il volto dell’assemblea ecclesiale.

 

Com’è noto finora ai Sinodi, detti con ragione Sinodi“ dei vescovi”, nella Chiesa cattolica erano ammessi alcuni chierici, normalmente capi di istituti clericali di vita religiosa, in numero ristretto (una decina, su duecento vescovi), ed erano escluse sia le religiose (monache e suore), sia i monaci e i religiosi laici. Non si prendeva neanche in considerazione la partecipazione di semplici fedeli che insieme agli altri padri sinodali potessero con il voto manifestare il loro parere. Per nomina diretta di Benedetto XVI ho partecipato a due Sinodi come esperto e per nomina diretta di Francesco ho partecipato al Sinodo sui giovani: nei primi due ho potuto intervenire se interrogato da un vescovo, mentre nel terzo mi fu data la parola in aula più volte. 

 

Era già una novità che stupiva molti, ma questa riforma di Francesco è, senza dubbi, un mutamento decisivo.

 

Dunque, al Sinodo di ottobre avranno diritto di voto non solo tutti i vescovi presenti, ma anche dieci religiosi e dieci religiose rappresentanti della vita religiosa che li ha eletti, e poi anche settanta fedeli laici, uomini e donne, segnalati dalle Conferenze episcopali continentali in numero di centoquaranta e poi scelti dal Papa.

 

Accordando il potere di voto a sorelle e fratelli laici, religiosi o semplici cristiani, papa Francesco di fatto riconosce un’autorità del popolo di Dio e permette che questa si manifesti in un Sinodo dei vescovi. Si è detto che questo voto concesso ai fedeli non vescovi è «nel registro della memoria, non della rappresentanza», ma ciò che è importante è la partecipazione dei laici non solo alla fase preparatoria, ma anche alla celebrazione vera e propria del Sinodo, quella che  ha a che vedere anche con il frutto del discernimento, con le scelte e le possibili decisioni per il futuro della Chiesa.

 

Si potrà certo dire, per rassicurare quanti temono che il Sinodo dei vescovi venga snaturato, che i laici sono in numero di settanta (dunque in minoranza rispetto ai vescovi), che sono nominati e non eletti; ma anche per questa novità si può dire che non è ultima e definitiva.

 

Ciò che muta profondamente il Sinodo dei vescovi è l’assunzione delle votazioni da parte dei fedeli con la stessa autorità delle votazioni dei vescovi.

 

Il Sinodo, dunque, avrà un volto nuovo, sconosciuto anche alle Chiese ortodosse e orientali. Francescoall’inizio del suo pontificato era ancora titubante sulla sinodalità e qualche volta disse che noi cattolici dobbiamo impararla dagli ortodossi. Ma ora con questeinnovazioni trascende le modalità storiche finora praticate e restituisce al popolo di Dio piena soggettività, rendendolo capace di esprimere il sensus fidei. Il Sinodo dei vescovi voluto da Paolo VI era un organismo- evento da celebrarsi in alcune settimane (due o quattro), mentre ora è diventato un processo, un cammino sufficientemente lungo per dare tempo di confrontarsi, ascoltarsi, conoscersi e fare discernimento per arrivare a una posizione motivata e comune.

 

Ci si chiede, quindi, se il voto nel Sinodo sarà decisivo, cioè atto a deliberare e in base a quale principio.

 

Sono convinto che nella Chiesa, che è un’assemblea di fede, il corpo di Cristo, e non l’assemblea di un partito politico, non debbano regnare criteri mondani. Abbiamo una tradizione sinodale attestata, soprattutto nella vita monastica. Quando ero priore avevo legiferato con il consiglio che l’assemblea dei membri della comunità chiamata in capitolo o in consiglio abbia, a partire da un

ordine del giorno fissato prima, un tempo congruo per pensare e informarsi; deve ascoltare tutti, confrontarsi e discutere, senza paura dei conflitti; deve pregare lo Spirito santo, cercare una convergenza e poi esprimersi con un voto possibilmente segreto.

 

Ma non sarà il criterio di maggioranza ad autorizzare la decisione finale: questo sarà un criterio orientativo per l’autorità e per tutta la comunità, ma alla fine la decisione spetterà a chi presiede. 

 

Certo,se l’autorità riscontra l’inesistenza di una maggioranza chiara, netta, dovrà prendere, se necessario, una decisione provvisoria per non paralizzare il cammino comunitario, ma si impegnerà a tornare sull’argomento e a rendere possibile una nuova valutazione e una nuova votazione.

 

Il rapporto tra maggioranza espressa con il voto e autorità è delicato e merita vigilanza. Chi presiede dovrebbe guardarsi dal guidare un capitolo, prevedere la discussione e poi non accogliere la maggioranza chiara e netta che vi si manifesta perché così frustra la comunità, salvo che la convinca che la decisione emersa è contro il Vangelo e rattrista lo Spirito santo. Chi presiede è il pastore e deve cercare l’unità a ogni costo!

 

Quell’“infarto del Sinodo” da molti preconizzato non c’è stato: non siamo ancora davanti alla “piramide capovolta”, ma il popolo di Dio è protagonista nel cammino sinodale. Certo ci sono miglioramenti da introdurre: si auspica che nei prossimi Sinodi i laici siano eletti come i vescovi e i religiosi, e non indicati e scelti dall’alto. Ma io spero soprattutto che si sappia parlare in verità del Sinodo, senza leggerlo come strumento scismatico, senza viverlo come luogo di rivendicazioni.

 

Se il Sinodo si realizza come un processo e un evento dell’ascolto – innanzitutto dello Spirito e del Vangelo – inizierà un cammino di riforma della Chiesa e si farà un passo verso l’unità visibile delle Chiese.

 

Ma se questa riforma fosse un’operazione di maquillage, non solo la delusione sarebbe grande, ma non si coglierebbe un kairós per la Chiesa. Oggi ci sono papa Francesco, i cardinali Mario Grech e Jean-Claude Hollerich che con fermezza tengono il timone del processo sinodale.

 

Non lasciamo cadere questa opportunità in cui ci sono uomini che ascoltano ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.


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