Enzo Bianchi "Noi che siamo nati cercando un volto"
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Non mettiamo più le mascherine, almeno all’aperto, e ricominciamo a guardare i volti nella loro
nudità. Abbiamo dovuto rinunciare a lungo al "faccia a faccia" con amici, conoscenti, persone
incrociate nei nostri cammini, a volte anche con conviventi e familiari. Di fatto è aumentata la
nostra sordità che non è solo incapacità di accogliere messaggi sonori ma che è innanzitutto
mancata accoglienza delle attese e dei desideri che vengono espressi dal volto degli altri. Forse ci
guardavamo con maggiore intensità negli occhi ma abbiamo sperimentato che solo il volto permette
quell’esperienza umana fondamentale nella quale l’identità di una persona si offre e si accoglie, in
questo vis-à-vis.
Il volto contro volto è il luogo originario in cui si accendono relazione e comunione, in cui si
costituisce l’identità umana, perché ognuno si lascia plasmare dall’altro in una reciproca fecondità.
L’umano è il solo essere che abbia un volto, anzi possiamo dire con Emmanuel Lévinas, è "volto",
sempre "rivolto" all’altro con le sue attese che chiedono di essere ascoltate. Nessuno spazio del
corpo è appropriato a segnare la singolarità della persona e a indicarla socialmente quanto il volto.
Siamo nati cercando un volto, quello della madre, ed è trovando accoglienza in quel volto che siamo
venuti al mondo accettando di vivere e diventando consapevoli che nel volto degli altri potevamo
scorgere l’unicità della persona, la sua espressione, la sua storicità, la sua vita e non solo: scorgere
anche il mistero della persona dell’altro, perché proprio il volto segna la frontiera tra il visibile e
l’invisibile, le parole e lo sguardo. Purtroppo siamo abituati a vedere i volti di sfuggita,
superficialmente, e abbiamo timore di "guardare" con intensità il volto dell’altro: tant’è vero che se
l’altro se ne accorge e ci guarda noi abbassiamo gli occhi con un po’ di timidezza o di vergogna. Ma
il volto va guardato, contemplato, perché solo così abbiamo un accesso alla conoscenza dell’altro: la
singolarità del volto, la possibile presenza in esso di tratti della sua parentela, la sofferenza narrata
dalle rughe e dai solchi lasciati dalle lacrime dovrebbero essere sempre una rivelazione! I greci
avevano una comprensione tale della singolarità del volto umano che qualificavano gli schiavi come
aprósopoi, i "senza volto", e percepivano che il volto è l’emergenza dell’interiorità propria di una
persona fino ad affermare che ognuno ha il volto che si merita, o che si è costruito.
Ma imparare a leggere il volto significa anche imparare a leggere il mondo perché nel volto
ciascuno si presenta nella sua identità. Come rivela il vocabolario il volto è anche "faccia", da facio
fare, quindi una realtà che ognuno costruisce insieme al tempo come uno scultore. Come non
riconoscere che soprattutto la cattiveria e l’ipocrisia plasmano il volto che ne diventa l’epifania? E
la bontà e la compassione forgiano un volto che ispira pace e accoglienza? Così ogni essere umano
ha l’anima sul volto!