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Agnese Moro e Adriana Faranda "La giustizia dell'incontro"

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La giustizia riparativa è uno spazio in cui il dolore degli uni e degli altri può essere visto, toccato e riconosciuto. Dove i responsabili possono toccare il dolore che hanno provocato e capire davvero che cosa è avvenuto. Dove chi ha subito quel torto può rendersi conto che si trova di fronte a una persona la cui umanità non è stata destrutturata dalle scelte sbagliate e dal male fatto… Insieme abbiamo disarmato il dolore dopo aver disarmato noi stessi. Dai pregiudizi, dalle certezze, dal desiderio di avere ragione, di difendersi e giustificarsi, di ricambiare il male (A. Moro).

Ritrovare il tempo è stato per me uno degli snodi più importanti nel percorso di giustizia riparativa, ricomprendere il valore è stato restituirgli un senso. Nello spazio dell’incontro il tempo assume una qualità diversa così come nell’ascolto, dove anche i silenzi riecheggiano di ricordi, sguardi, emozioni. Si impara a percepire le sfumature, le esitazioni, i gesti appena accennati. Si impara che comprendere, accogliere, avere cura chiedono tempo e che il tempo non è uguale per tutti (A. Faranda).


Entrano insieme nella sala conferenze, una accanto all’altra. Stanno parlando tra loro e lo sguardo di chi le vede passare coglie facilmente, nonostante le mascherine, la gioia del ritrovarsi, dell’essere insieme, del poter raccontare, ancora una volta, qualcosa della loro vicenda e del percorso che hanno condiviso. Agnese Moro e Adriana Faranda iniziano così il confronto di domenica 27 giugno 2021 offerto alla comunità di Bose e ai suoi ospiti che, nel rispetto del distanziamento sociale imposto dalle normative di prevenzione del Covid-19, non possono essere più di una settantina. L’una figlia di Aldo Moro, il segretario della Democrazia Cristiana rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e ucciso dopo 55 giorni di prigionia, l’altra ex brigatista che prese parte al sequestro Moro. Insieme hanno intrapreso dal 2010 ad oggi il percorso di giustizia riparativa promosso dal gesuita p. Guido Bertagna e raccontato ne “Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto” (Il Saggiatore, Milano 2015).

L’incontro con le due ospiti, desiderato e programmato da tempo, e più volte rinviato a causa dell’evoluzione della pandemia, come ha ricordato fr. Luciano nella sua introduzione, è stato apprezzato da tutti i presenti per la sua intensità e per le prospettive di speranza che ha aperto.

Chiamiamo giustizia riparativa quella giustizia che serve là dove è accaduto l’irreparabile, un ossimoro che fa subito capire la difficoltà di questo percorso nel quale familiari delle vittime ed ex brigatisti si son ritrovati a condividere i loro vissuti, i loro dolori che dopo più di 30 anni rischiavano di essere talmente incancreniti da non poter più essere toccati. Incontri che hanno permesso di vedere l’altro, di dargli un volto, un volto umano, di riconoscere il suo presentarsi disarmato e che hanno indotto a disarmarsi delle proprie ragioni, dei propri ideali, dei propri pregiudizi.

È stato indubbiamente un percorso fatto di piccoli passi: lungo, impegnativo, che ha richiesto ai partecipanti di scegliere di portare assieme il dolore e il peso di quanto accaduto. Un percorso non facile, che ha avuto momenti di tensioni, momenti in cui la voglia di mollare tutto era forte, momenti in cui alcuni partecipanti del gruppo hanno effettivamente abbandonato. Un percorso che ha donato una qualità nuova alla responsabilità, intesa non più e non solo come pagamento di quanto fatto nel passato, ma come sguardo sul presente e sul futuro, sguardo allargato, a 360 gradi, che impara a valutare tutte le conseguenze delle proprie scelte: le conseguenze sulle persone, sulle relazioni, su ciò che sta al cuore della convivenza umana. Anche il tempo ha assunto una qualità nuova, diversa: questi incontri, infatti, hanno richiesto molto tempo di ascolto, di condivisione, di accoglienza di quanto l’altro aveva da dire e, conseguentemente, il tempo è diventato dedicato, è uscito al flusso normale, quotidiano e frenetico del tempo.

Oltre ai mediatori del percorso di giustizia riparativa, altre persone hanno aiutato in modo decisivo il cammino dei “Testimoni” (le vittime e i responsabili dei gruppi armati): i “Primi Terzi”, un gruppo di giovani che sono stati i primi testimoni dell’incontro tra vittime e responsabili, invitati a condividere il cammino e l’ascolto, a fare domande su quella storia non vissuta ma che, comunque, è anche loro, e i “Garanti”, uomini e donne del diritto, delle lettere, dell’arte e dello spettacolo, del giornalismo (nella platea era presente l’attrice Maddalena Crippa che ha partecipato ai lavori in qualità di garante) che sono stati garanti e custodi della serietà, della correttezza e della lealtà e le monache di Viboldone che hanno accolto, presso il loro monastero, parte dei lavori.

La platea ha seguito con attenzione il racconto, ha partecipato a quei momenti in cui la parola si è fatta più lenta, la voce un po’ si è spezzata e, nel pomeriggio, sono stati numerosi i ringraziamenti che hanno accompagnato le altrettante numerose domande ad Agnese e Adriana.

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