Quell’inquietudine che diventa un filo tra Francesco e Leone
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Una chiave di lettura della transizione nella condizione spirituale propria di una Chiesa che non si accontenta e affronta in modo vivo le sfide di geopolitica, riforme interne e IA.
Avvenire anticipa l’introduzione al libro del gesuita Antonio Spadaro Da Francesco a Leone (EDB, pagine 136 pagine, euro 14.50, in libreria dal 31 luglio). Il volume è arricchito da due testi inediti: uno scritto di papa Francesco su sant’Agostino e una lunga intervista in cui l’allora cardinale Prevost racconta la sua visione ecclesiale e il rapporto con Francesco. Molto più di una cronaca degli ultimi giorni di Jorge Mario Bergoglio e dei primi passi del nuovo Papa, il volume è un viaggio spirituale, personale e collettivo dentro un tempo di passaggio. Leone XIV, Papa venuto dalle Ande e segnato profondamente dalla spiritualità agostiniana, si presenta sin dall’inizio con uno stile sobrio e disarmante. Il libro affronta le grandi sfide che si troverà ad affrontare. Una è quella dell’intelligenza artificiale. «Dovrà custodire l’umano nel tempo degli algoritmi. La teologia è chiamata a diventare anche cyberteologia, capace di interrogare il senso della vita in un’epoca dominata dai dati», scrive Spadaro, che è sottosegretario del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione. Direttore de “La Civiltà Cattolica” dal 2011 al 2023, per primo ha intervistato Francesco nel 2013.
Questo libro è, prima di tutto, il diario di una esperienza personale. Non lo era in partenza. Non era nato come tale. Ma lo è diventato. Le pagine di questo libro sono state scritte nel corso di giorni straordinari, quelli della scomparsa di papa Francesco, dei suoi funerali, del tempo di attesa che ha preceduto il Conclave, e infine dell’elezione di Leone XIV. Si tratta, dunque, di interventi scritti “a caldo”, pubblicati su quotidiani, riviste, canali digitali. Hanno visto la luce in momenti di profonda emozione personale e collettiva, e di grande intensità spirituale. Ora, messi insieme e riletti con il distacco di qualche settimana, essi si mostrano come i frammenti di un racconto unitario. Ne costituiscono il diario, intimo e ragionato, scritto dal punto di vista di chi quei giorni li ha vissuti non solo come osservatore, ma da dentro, con tutto il coinvolgimento che comporta la prossimità personale e spirituale al pontefice scomparso e al successore appena eletto.
Dopo aver ricevuto il messaggio che mi comunicava la morte di Francesco, ho dovuto mettere da parte i sentimenti forti e decidere se prendere la parola oppure no. Ho sentito che dovevo farlo. Lo dovevo a un pontefice che ho seguito per dodici anni con grande intensità, seguendolo nei viaggi apostolici in oltre sessanta paesi del mondo, in sei assemblee sinodali, e commentando le sue parole e le sue azioni su “La Civiltà Cattolica” come direttore finché mi è stato permesso dai miei superiori della Compagnia di Gesù, a partire dalla prima intervista che gli feci nell’agosto del 2013.
Scrivere è stato per me un modo per elaborare, passo dopo passo, l’addio a un Papa che avevo conosciuto, frequentato, e con il quale avevo condiviso riflessioni e progetti. E, insieme, un modo per accogliere il nuovo, per aprire lo sguardo a Leone XIV, per discernere i segni di continuità e di novità che già si affacciavano nei suoi primi gesti, nelle prime parole, nei primi silenzi. Chi scrive, in quei giorni, non lo fa mai da una distanza neutrale. Si scrive mentre il cuore è scosso, la mente è attraversata da mille interrogativi, e l’anima cerca di leggere i segni dei tempi alla luce dello Spirito. Questo volume raccoglie, dunque, non soltanto una cronaca ragionata di passaggi epocali, ma anche una testimonianza: di uno sguardo, di un cammino, di un’interiorità in ascolto.
Quando ci fu il passaggio di testimone tra Ratzinger e Bergoglio scrissi un instant book per Lindau dal titolo Da Benedetto a Francesco. Oggi ecco Da Francesco a Leone, voluto dalla EDB.
Questo volume è nato dal bisogno interiore di comprendere e accompagnare un passaggio ecclesiale che si presentava non solo come cambio di pontificato, ma come vera e propria soglia tra epoche. Anche l’emozione composta che trapela può avere un valore conoscitivo e interpretativo, al di là delle analisi che il tempo e la storia ci regaleranno.
Un passaggio delicato, profondamente segnato da una parola che per me è diventata chiave interpretativa: inquietudine. Francesco l’ha raccomandata con forza in più di un’occasione – soprattutto agli agostiniani – come dimensione spirituale autentica, sorgente di discernimento. Ed è proprio con questa parola che Leone XIV ha aperto il suo ministero petrino. L’inquietudine è il filo rosso che attraversa tutto questo libro. È la condizione spirituale propria di una Chiesa che non si accontenta, che non si chiude, che non si ripiega, ma che resta in ascolto della storia, anche quando questa diventa difficile.
I capitoli che seguono, dunque, accompagnano il lettore in un percorso. Il primo contributo si concentra sull’eredità di Francesco, colta non come blocco dottrinale o programma politico, ma come impulso spirituale, come stile di governo animato dal discernimento e non da piani precostituiti. Successivamente amplio lo sguardo su tre pilastri che hanno strutturato il pontificato di Francesco: la misericordia, come volto concreto del vangelo; il discernimento, come metodo; e la fratellanza, come orizzonte.
Il terzo contributo, “La riforma ecclesiale”, entra più direttamente nell’architettura istituzionale: sinodalità, coinvolgimento dei laici, valorizzazione delle donne, lotta al clericalismo e all’«indietrismo». Temi complessi, ma attraversati da una visione profonda: la riforma della Chiesa è conversione, non solo riassetto. È spirituale, non tecnica. È ecclesiologia vissuta.
Il quarto e il quinto capitolo – “La visione sociale e geopolitica” e “Dalla storia come prodotto alla storia come processo” – aiutano a collocare Francesco nel contesto globale. Qui si coglie la forza profetica del suo sguardo: un Papa capace di parlare alla Chiesa, ma anche al mondo, nella consapevolezza che il vangelo non si rivolge solo ai «fedeli», ma a tutta l’umanità. Il principio secondo cui «il tempo è superiore allo spazio» diventa chiave di lettura di una geopolitica spirituale, che rifiuta le scorciatoie identitarie e abbraccia una logica di processo, di maturazione, di accompagnamento.
Il sesto capitolo si avventura nel discernimento dei temi chiave del Conclave. Ha per titolo “La vera sfida non è l’unità, ma la diversità”, e affronta una delle tensioni più forti vissute oggi dalla Chiesa: la diversità interna. Differenze di cultura, sensibilità teologiche, prassi pastorali. Francesco ha saputo affrontare queste tensioni senza anestetizzarle, convinto che l’unità ecclesiale non sia un’ideologia, ma una comunione spirituale che si costruisce nel tempo, attraversando i conflitti e non evitandoli. È un passaggio cruciale per comprendere la visione cattolica della chiesa come popolo plurale, non come partito compatto.
Il settimo e l’ottavo capitolo – “Il tramonto del ‘regime di cristianità’” e “Quel filo tra intelligenza umana e frontiera digitale” – sono quelli che intendono avere una proiezione sul futuro. Francesco ha decretato la fine della cristianità come regime culturale e politico. Lo ha fatto restituendo alla Chiesa la sua vocazione evangelica, che è servizio, non potere. Al tempo stesso, ha aperto uno sguardo sul futuro segnato dall’intelligenza artificiale, non per fuggire nel passato, ma per aiutare la chiesa a pensare l’umano dentro un nuovo ecosistema. Il 7 maggio definivo proprio l’intelligenza artificiale come la sfida qualificante del nuovo pontefice. E il giorno dopo è avvenuta la sua elezione, con la scelta del nome che conferma quella sfida.
Con il nono e il decimo capitolo entriamo nel tempo nuovo: “Leone guarda lontano” e “Quelle parole per una chiesa spirituale lontana dal potere” segnano il passaggio al pontificato di Leone XIV. È il momento in cui l’eredità si trasmette. Qui inizia una nuova voce che affonda le radici in Agostino, come Francesco le aveva affondate in Ignazio.
Seguono quattro capitoli che offrono uno sguardo più ampio e profondo del pontificato di Leone così come è dato di capire fino alla chiusura del volume. Nel primo, “Il passaggio di testimone”, ho voluto esplorare la continuità spirituale tra Francesco e Leone XIV, centrata su una parola chiave: inquietudine. È il filo vivo che unisce i due pontificati, come tensione evangelica che non si accontenta e che invita a camminare. Il secondo capitolo, Francesco e Leone XIV: le due inquietudini”, sviluppa questo tema mostrando come l’unità della chiesa non sia mai omologazione, ma sinodalità vissuta, ascolto delle differenze, ricerca condivisa. Infine, “L’inquietudine geopolitica di Leone” propone uno sguardo sulla vocazione internazionale del nuovo Papa, che raccoglie e rilancia l’eredità diplomatica di Francesco: non una politica di potere, ma una testimonianza di pace, prossimità e responsabilità globale. Anche sul piano geopolitico, l’inquietudine si rivela come risorsa spirituale e criterio di discernimento.
A chiudere il volume, il capitolo “La sfida del postliberalismo” affronta una questione decisiva del nostro tempo: come la Chiesa può rispondere alla crisi del liberalismo senza cadere nella tentazione di un ritorno all’ordine autoritario. La risposta del pontefice è netta: la fede autentica nasce dalla libertà, non dall’imposizione. Di fronte a chi propone un cristianesimo identitario e funzionale al potere, il Papa rilancia l’immagine di una chiesa estroversa, che non pretende di possedere la verità, ma la testimonia con creatività evangelica.
Il lettore troverà in appendice due preziosi testi di Bergoglio – una prefazione e una omelia – su sant’Agostino, e la trascrizione di una conversazione spontanea che l’allora cardinale Prevost fece in una parrocchia agostiniana dell’Illinois nel quale esprime in maniera semplice e diretta il suo pensiero su Francesco, ma tanto altro.
La mia attenzione principale è stata quella di evitare di fermarmi alle polarizzazioni che hanno proliferato in rete, e che hanno dipinto Leone XIV ora come il restauratore della «vera» tradizione ora come un clone del suo predecessore. Ho cercato di essere molto attento alle sue prime parole, alle priorità che emergevano, a una visione di chiesa che ha cominciato a delinearsi lentamente.
Gli ultimi due contributi riprendono il filo iniziale e lo concludono. Inquietudine è la parola che lega i due pontificati. Francesco ci ha lasciato il fuoco, non le ceneri. Leone XIV lo accoglie con mani miti, ma ferme. È la fede come cammino, come ricerca, come disponibilità a lasciarsi ferire dalla realtà. Una chiesa inquieta è una chiesa viva.