Rosanna Virgili "Ecco come le Scritture accompagnano il Papa verso la sepoltura"
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Il dialogo stupendo di Francesco con il Signore alla fine della sua vita terrena rispecchia il confronto di Gesù con Pietro, la vicenda di Lazzaro, i salmi e la lezione di uno scrittore come Péguy
Papa Francesco ha scritto la preghiera che avrebbe accompagnato il suo corpo alla sepoltura. Si tratta di un dialogo stupendo col Signore interpretato dalle scene e dalle parole della Scrittura. L’antifona porta quella della morte di Lazzaro quando, dinanzi alla tomba del fratello morto, lo accoglie Marta rammaricata perché Gesù era arrivato troppo tardi a salvargli la vita. «Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”» (Gv 11,25-26).
Come Marta, anche Francesco affronta la sfida della fede nella prova più dura, quella che appare dinanzi al cadavere della persona amata. E come, insieme a lei e a quello di tutti i credenti, anche il cuore del Papa regge fiducioso invocando: «La speranza di Cristo sia con tutti voi». Poiché è «nella speranza che – come dice san Paolo – noi siamo stati salvati» (Rm 8,24). Si avverte subito che ci sarà anche lui a recitare tutto il libretto con gli oranti che andranno in processione, che in quelle parole batterà ancora il suo cuore e avrà fiato la sua voce. Ed ecco la seconda scena che, nel segno della Croce, vede uno dei malfattori con-crocifissi con Gesù che per primo incarna la speranza che si fa salvezza: «E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”» (Lc 23,42). Francesco è nei panni di chi riceve gratuitamente un’eccedenza di vita. «Saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18).
Una speranza che tutta la Chiesa promuove, quindi, con la sua supplica corale: «Guarda con bontà, Signore, la vita e le opere del tuo Servo e nostro Papa Francesco... accoglilo nella tua dimora di eterna luce e di pace». E qui si illumina una visione poetica di uno scrittore contemporaneo, Charles Péguy, che così argomenta sulla più giovane delle virtù teologali: «La speranza è una bambina piccina che trascina le sue sorelle più grandi, la fede e la carità» (da Il portico del mistero della seconda virtù). Questa bambina cammina sicura, immacolata e mite anche dinanzi alle crude parole di chi, ancora in questi giorni, al cospetto dell’inermità del cadavere di un uomo, proclama al mondo intero il suo giudizio di condanna. La processione inizia dietro al Suo pastore e la scena è quella del dialogo serrato di Gesù Risorto con Simon Pietro: «“Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”» (Gv 21,15). Francesco è nell’orante del Salmo 23 che invoca il Pastore che è il Signore e, allo stesso tempo, egli è in quel Vescovo pastore secondo le parole del profeta Ezechiele: «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,16).
Ritornano le parole dell’inizio del pontificato, quando suggeriva ai pastori – i vescovi, i sacerdoti – di avere non l’odore dell’incenso ma «l’odore delle pecore» e di mettersi in fondo, in mezzo e in capo al gregge. E lo è stato senz’altro: ne danno prova le tante donne, ragazzi, uomini e bambini che partecipano, se non fisicamente alla processione, di certo intimamente col loro “grazie” a Francesco perché – come ha detto qualcuno che era in Piazza san Pietro – «si è preso cura dei poveri, e io sono povera!». Nella seconda antifona poi una nuova confessione di fede: «Sarà gradito al Signore nella terra dei viventi». Ed ecco la scena della confidenza assoluta nella misericordia di Dio che non guarda ai meriti né ai limiti né ai delitti né ai crimini delle creature, ma alla loro umile corrispondenza d’amore: «Amo il Signore, perché ascolta il grido della mia preghiera. Verso di me ha teso l’orecchio nel giorno in cui lo invocavo. Mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci degli inferi, ero preso da tristezza e angoscia. Allora ho invocato il nome del Signore: “Ti prego, liberami, Signore”. Pietoso e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso. Il Signore protegge i piccoli: ero misero ed egli mi ha salvato”» (Sal 116,1-5). L’orante si getta nel cuore di Dio come un bambino nell’abbraccio di un padre. Così Francesco, piccolo, misero, stretto dalla tristezza, trova la sua libertà, la sua grandezza, la sua dignità e la sua bellezza chiudendo gli occhi nell’abbraccio del Signore. Non può mancare, quindi, il Salmo 51 dove Francesco entra nel cuore di David quando si accorge di quanto grande fosse il suo peccato. Si accorge e piange per il dispiacere: Miserere mei Dominus secundum misericordiam tuam, “Abbi misericordia di me, Signore, secondo la tua misericordia”. L’eco di un Papa che si è confessato come un peccatore che ha conosciuto l’amore assoluto di Dio, acqua rigenerante che si beve alla fonte della misericordia. La processione canta dal profondo dell’anima il Giubileo della Misericordia. Mentre davanti agli occhi sorge un’ultima scena: quella della donna adultera del Vangelo di Giovanni che nessuno condanna e che Gesù consegna a un’altra vita. A un’altra primavera. A un tempo sconfinato dove si respira d’Amore soltanto. Misericordia et misera.