Le donne nella Chiesa: ecco i passi di Francesco per potenziarne il ruolo
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Il pontificato appena concluso ha dato sostanza a un percorso teologico iniziato con i suoi predecessori. «Con lui si è passati dalla teoria alla realizzazione concreta del cambiamento».
Un pontificato non si giudica nel momento della morte di un Papa. Certo, lungo il suo svolgimento se ne valutano parole e gesti. Infatti, tutti coloro che con il Battesimo entrano a far parte della Chiesa cattolica sono, nonostante la sua forma di governo piramidale e il suo principio di autorità fortemente centralizzato, fratelli e sorelle che non sono chiamati a stare nella comunità ecclesiale né da sudditi né da spettatori, ma a contribuire alla sua edificazione da pietre vive (1Pt 2,4s). Un pontificato, però, è un evento storico che, come tale, andrà valutato quando la debita distanza dai fatti e, soprattutto, la collocazione di ciascuno di essi e del loro insieme potranno essere considerati all’interno della fitta rete di processi storici del quale anche una comunità religiosa di un miliardo e trecento milioni di fedeli costituisce un elemento significativo.
È pur vero, comunque, che l’impatto di un pontificato appartiene anche alla cronaca dei giorni, quelli che vanno dal momento dell’elezione fino alla morte del Papa o, come ha ormai reso del tutto plausibile Benedetto XVI, a una sua eventuale scelta dimissionaria. Non c’è dubbio, allora, che il pontificato di Francesco verrà giudicato dalla storia anche per gli atteggiamenti tenuti e, soprattutto, per le scelte fatte nei confronti di quello che è stato uno dei più importanti soggetti storici emergenti anche nella Chiesa negli ultimi due secoli: le donne. È pur vero, però, che proprio il rapporto Chiesa-donne è stato un elemento distintivo, se non addirittura qualificante, del suo pontificato. Né va dimenticato che, al riguardo, Francesco ha innanzi tutto messo a frutto un’eredità che gli veniva dai pontificati precedenti, dato che già da un certo tempo il tema delle donne ha acquisito carattere magisteriale. Su questa eredità Francesco ha però investito sia suoi personali convincimenti sia importanti risorse ecclesiali che l’epoca post-conciliare ha messo a sua disposizione.
Un’eredità magisteriale
Lungo tutta la tradizione cristiana, già a partire dai Padri antichi, si è sempre parlato di donne, per imputare loro tutte le conseguenze della colpa originaria o, comunque, per guidarle e normarle. Non può che stupire infatti l’attuale resistenza di fronte alla teologia cosiddetta di genere, dato che da sempre, in fondo, i teologi non si sono mai tirati indietro quando c’era da dire chi la donna dovesse essere e, soprattutto, cosa dovesse fare.
Dobbiamo comunque a Giovanni XXIII di aver intuito che il nuovo modo di essere presenti al mondo e alla storia che le donne stavano acquisendo grazie alla rivoluzione femminista interpellava anche le Chiese. Era il 1963 quando, nella sua enciclica Pacem in terris, papa Giovanni ha riconosciuto come un segno dei tempi il fatto che «nella donna diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità», mostrando così di aver recepito il senso più profondo delle istanze del femminismo. Dal canto suo, Paolo VI ha accettato addirittura di invitare alcune donne a partecipare alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II, anche se non ce l’ha poi fatta a recepire l’istanza che si andava già facendo strada all’interno del Concilio stesso di mettere sul tavolo la questione dei ministeri. Con Giovanni Paolo II il tema della donna entra ormai prepotentemente nel magistero pontificio: soprattutto con la sua enciclica Mulieris dignitatem (1988), una Lettera apostolica sulla dignità e la vocazione della donna, il Papa ha inteso offrire alla Chiesa un breve trattato di antropologia teologica in cui però l’enfasi cade ancora sulla specificità identitaria e, al contempo, funzionale della donna nel piano di Dio e, quindi, nella vita della comunità ecclesiale.
Anche Francesco ha mostrato fin dall’inizio che il tema del ruolo delle donne era ormai ineludibile, ma ha cambiato totalmente registro. Non si è lanciato in discorsi teorici, anzi, le sue dichiarazioni al riguardo sono state soprattutto occasionali e sono state sempre una conferma delle sue resistenze a dialogare con le istanze più autentiche del femminismo che ha sempre catalogato come un’ideologia e, come tale, ha giudicato perniciosa. Ha però preso di petto la questione della presenza delle donne nella Chiesa cattolica pragmaticamente e con grande determinazione.
Lasciando supporre che la sua decisa opposizione nei confronti dell’ordinazione delle donne fosse dovuta non soltanto al suo timore che una tale riforma avrebbe lacerato pericolosamente l’unità della Chiesa, ma rispecchiasse soprattutto la sua profonda convinzione che altre riforme erano invece praticabili e non sarebbero state meno incisive. Prima fra tutte l’inserimento di figure femminili sia nel governo centrale della Chiesa, in Vaticano, sia nelle diocesi e nelle parrocchie come ha espressamente auspicato il recente Sinodo. Se finora il governo della Chiesa cattolica era esercitato solo da chierici, Francesco ha cominciato a incrinare quella saldatura tra clericalismo e potere di cui ha sempre denunciato i pericoli.
Un suggestivo neologismo: smaschilizzare
Per Francesco la presenza delle donne ha rappresentato un elemento decisivo per andare oltre il clericalismo: secondo lui – lo ha detto più volte – consentire il loro accesso all’ordinazione sacerdotale avrebbe significato rinsaldare ulteriormente il sistema clericale che dal Medioevo in poi ha forgiato la cristianità e si è andato progressivamente sempre più rafforzando nella Chiesa cattolica dopo la Riforma protestante. Per Francesco, l’ordinazione sacerdotale delle donne avrebbe ulteriormente rallentato il processo di de-clericalizzazione della Chiesa cattolica, che almeno in parte anche il Concilio aveva riconosciuto come una delle sfide da raccogliere per il futuro.
Questa dialettica tra clericalismo e de-clericalizzazione con al centro la questione dei ruoli ecclesiali delle donne ha sicuramente rappresentato una delle criticità del suo pontificato, troppo cauto per quelli che vedono nella riforma del suo ordinamento ministeriale l’unica possibilità di dare futuro alla Chiesa cattolica in un cambiamento d’epoca che rischia altrimenti di travolgerla; assolutamente pericoloso per altri che, oltre a temere un deragliamento interno, vedono in una simile riforma un tradimento della tradizione. Inutile dire che solo le scelte dei prossimi pontefici indicheranno in che modo poter uscire dall’impasse. Francesco, per ora, ha posto con forza le condizioni per non considerare mai la tradizione come una gabbia che imprigiona in un passato che si pretende non passi mai, ma ha anche accettato di pagare i prezzi necessari per avanzare con determinazione verso un futuro ancora incerto tutto da costruire.
Con acume, poi, Francesco ha intuito che la storia avanza anche attraverso il linguaggio e il suo neologismo “smaschilizzare” può essere considerato un preciso indicatore dell’unico orizzonte di riferimento all’interno del quale, a suo avviso, la Chiesa cattolica deve far maturare il suo progetto di riforme. Un neologismo suggestivo, che ha lasciato molti interdetti, ma che in realtà coglie perfettamente il processo storico dentro cui anche tutte le Chiese cristiane, e non solo, si sono trovate a operare negli ultimi centocinquanta anni.
In fondo, il Concilio Vaticano II ha avviato questo processo perché ha consentito di “smaschilizzare” le facoltà teologiche e la stessa teologia: è impensabile oggi che la riflessione teologica, portata avanti ormai in tutto il mondo anche da numerose teologhe, possa rinunciare a ragionare in prospettiva di genere superando l’astrattismo disincarnato che ha ormai ben poco da dire agli uomini e alle donne del nostro tempo. Francesco lo ha capito e non a caso ha invitato – o, forse, per qualcuno dovremmo dire costretto - il gruppo dei cardinali da lui scelti per aiutarlo nel governo della Chiesa a quattro sessioni di confronto con un teologo e undici teologhe proprio sul tema “smaschilizzare la Chiesa”.
Senza cedere alla paura di inoltrarsi in terreni che lui per primo ritiene insidiosi. Proprio questo, allora, va ancor di più a suo merito: il pontificato di Francesco ha reso evidente che oggi per la Chiesa cattolica le donne – per fortuna! – sono sempre meno una questione e sempre più una risorsa.
Non è stato forse così alle origini della fede nel Risorto quando, secondo tutti e quattro i Vangeli, sono state loro a ricevere l’annuncio pasquale e a obbedire al comando apostolico?
Professoressa emerita Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma
Fonte: Avvenire