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Rosanna Virgili «Agar, da strumento di vita “surrogata” a donna in piena dignità»

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23 Ottobre 2023


Spesso i personaggi “secondari” nella Bibbia restano in sordina nella memoria dei lettori mentre i racconti dove essi appaiono si mostrano, al contrario, estremamente attenti alle loro azioni e ai loro sentimenti. È il caso di una donna schiava di un’altra: l’egiziana Agar che era al servizio della principessa ebrea Sara, moglie di Abramo. La loro storia si intreccia nel tessuto del mondo del tempo e del territorio dove le due vivevano, vale a dire in una cultura patriarcale declinata nella regione cananaica tra l’Egitto e la Siria.

Quella stessa terra che, più avanti, diventerà “promessa” da Dio agli ebrei resi schiavi e poi fuoriusciti dal Paese d’Egitto, a causa dello sterminio dei loro figli maschi. Come tutte le storie che si leggono nel libro di Genesi, a proposito dei patriarchi di Israele, non va considerata come un documento di cronaca quanto un racconto esemplare delle consuetudini del tempo, espresso in una saga familiare. Ivi le donne benestanti ebree avevano un’ancella che assolveva a tanti servizi verso le loro padrone compreso quello di concepire figli – dai mariti delle stesse – al posto loro, nel caso in cui fossero state sterili.

Così comincia la storia di Agar: «Sarài, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sarài disse ad Abram: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abram ascoltò l’invito di Sarài. Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaan, Sarài, moglie di Abram, prese Agar l’Egiziana, sua schiava, e la diede in moglie ad Abram, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta» (Gen 16,1-4a). Questo comportamento era normalissimo, previsto dalle convenzioni della famiglia patriarcale che aveva uno scopo irrinunciabile: quello di garantire figli (maschi) agli uomini in modo che il clan e la tribù, in cui era organizzata la società dei pastori, potesse non solo sopravvivere ma anche crescere e consolidarsi, imponendosi sulle altre tribù, vantando diritti esclusivi di occupazione e fruizione dei beni.

Il gesto di Sara, pertanto, che a noi potrebbe apparire, oggi, assolutamente immorale, si spiega benissimo nel suo contesto: dovere di una moglie era di dare discendenza al proprio marito ed essendo il corpo della schiava a disposizione della sua padrona, e non di sé stessa, attraverso il grembo di lei, era come se fosse Sara a partorire un figlio a suo marito. Ciò che contava era il seme maschile, era la “primizia dei lombi” di Abramo che doveva affermare il potere del suo nome anche per le generazioni future.

Sin qui, dunque, tutto è “regolare” secondo i criteri culturali e morali di un tempo antico ma che – sotto forme spesso ipocrite e mistificate – si ripresenta ancora oggi. Sono comportamenti affatto “umani”tuttavia, pertanto la Scrittura, mentre li racconta, vi apre anche delle fessure critiche, mostrando cosa ci sia dietro ciò che le culture creano e giustificano. Ed ecco che il velo si squarcia e appaiono le realtà autentiche ed intime delle persone: Agar si rivela una donna nella sua piena dignità di coscienza e di sentimenti. Avremmo potuto credere che fosse un oggetto servile, ridotta a vivere il suo corpo come mero bisogno di mangiare, essendo una schiava, invece scopriamo che anche la schiava ha il dono di sentirsi soggetto di libertà, tipico di ogni essere umano creato da Dio, secondo i canoni biblici. E quando scopre di essere incinta «la sua padrona non contò più nulla per lei».

Da strumento di vita “surrogata” – su cui di lei non sarebbe rimasto nome né segno – Agar diventa una donna in piena dignità: la sua maternità la riscatta dalla subordinazione, dalla schiavitù, e lei vede trasformato il suo corpo da una macchina materiale a una sorgente di vita spirituale. Dio restituisce ad Agar la sua discendenza, sottraendola ad Abramo e a Sara – complice di questa rapina – che se ne erano fatti proprietari. Disse, infatti, il Signore alla schiava Agar: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa» (Gen 16,10). Fu così che ella divenne la madre d’Egitto dei liberi figli d’Arabia. «Soggiunse poi l’angelo del Signore: “Ecco, sei incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele, perché il Signore ha udito il tuo lamento”» (Gen 16,10-11). Un angelo e un’annunciazione anche per Agar! Qualcosa di simile a quanto avverrà, secoli dop, alla fanciulla di Nazareth, Maria.


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