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Fulvio Ferrario "Quando il laicismo diventa religione"

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(Rubrica “Teologia e società”
rivista Confronti, Ottobre 2023)


di Fulvio FerrarioProfessore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.

Tra i tanti dibattiti in epoca pandemica, ce n’era uno che proponeva un’analogia tra i cosiddetti no vax a quanti professano una fede religiosa che si richiama a una “rivelazione”. Secondo questa interpretazione sia gli uni che gli altri sostengono un punto di vista del tutto privo di basi razionali e che, proprio per tale ragione, si sottrae al dibattito critico.

Qualche anno fa, nel pieno degli infuocati dibattiti pandemici su obblighi vaccinali e presunti attentati alle libertà costituzionali, un noto filosofo italiano ebbe a paragonare i cosiddetti no vax a quanti professano una fede religiosa che si richiama a una “rivelazione”.

L’analogia consisterebbe in questo: gli uni e gli altri sostengono un punto di vista del tutto privo di basi razionali e che, proprio per tale ragione, si sottrae al dibattito critico. Le persone no vax, come quelle credenti, si collocherebbero, in tal modo, al di fuori del confronto pubblico, che evidentemente non può che richiamarsi a dati e argomenti controllabili. Dal punto di vista di una persona credente, un simile parallelo presenta almeno due dimensioni di considerevole importanza, una teorica e una politica.

La questione teorica ha a che vedere con la natura delle affermazioni religiose. Limitandoci all’ambito cristiano, l’appello alla “rivelazione” viene normalmente compreso dal laicismo corrente in questi termini: chi crede afferma di avere accesso a contenuti dottrinali (“dogmi”) comunicati in qualche modo soprannaturale, non verificabile e tale da dover essere accettato “per fede”, dove il termine indica il puro e semplice ossequio a un’istanza autoritaria. È così perché è così, l’ha detto Dio (e/o la Chiesa).

Bisogna ammettere che diverse espressioni cristiane hanno incoraggiato, e alcune incoraggiano oggi ancora, questo tipo di critica. Si potrebbe mostrare, per contro, che il significato centrale della nozione di “fede”, secondo l’Antico e il Nuovo Testamento, tradotta in termini comprensibili anche per chi non la fa propria, indica un modo di guardare alla realtà, quella empirica, che tutti e tutte sperimentano.

Le cristiane e i cristiani ritengono di poter provare a vivere come se lo sguardo sul mondo che il Nuovo Testamento attribuisce a Gesù di Nazareth permettesse di interpretare la realtà come attraversata da una promessa di relazioni più ricche con gli altri e con il mondo, a motivo del fatto che Dio stesso, in Gesù, intende vivere tali relazioni.

Si parla di “rivelazione” perché tale fiducia non può essere la conclusione di un teorema, bensì è un’esperienza che può essere accolta ma non autoprodotta, come l’innamoramento, oppure la percezione della bellezza. In tutto questo non vi è nulla di irrazionale. Che esistano diversi tipi di “ragione” e non solo quello che caratterizza le scienze della natura non dovrebbe risultare affermazione inedita.

La questione politica è ancora più semplice. Il filosofo riteneva (comprensibilmente, a mio modo di vedere) che l’atteggiamento no vax costituisse un obiettivo rischio per la collettività: di conseguenza, approvava (come la maggioranza della popolazione italiana, compreso il sottoscritto) le misure governative tese a scoraggiarlo e, in determinati casi, a sanzionarlo.

L’analogia con la fede religiosa suggerisce (come minimo) l’idea che anch’essa, in quanto espressione di un irrazionalismo nemico del confronto argomentativo, costituisca una minaccia alla convivenza democratica. Persino un’insinuazione di questo genere contiene, evidentemente, una particella di verità: le opinioni religiose sono esposte al rischio di tradursi in ideologie violente. Esattamente come tutte le altre opinioni, ma questo il paragone formulato dal filosofo italiano non aiuta a comprenderlo.

Ne risulta un’ideologia che la Storia ha già conosciuto, in diverse varianti: si assolutizza un modello di razionalità, trasformandolo in un idolo e imponendolo come oggetto di culto. Non è necessario innalzare statue alla dea Ragione, esistono anche modalità più sottili, ma non meno efficaci e velenose, di imporre tale “religione senza Dio”.

La teologia cristiana svolge, in un simile quadro, un compito di decostruzione critica dell’ideologia, mostrando che quanto si spaccia per laicismo è in realtà una forma di idolatria. Anche in questo caso, nulla di nuovo, se ne trovano tracce già nelle Scritture ebraiche e cristiane.

Il primo a dedicarsi all’impresa in forma sistematica è probabilmente un cristiano di origine mediorientale di nome Giustino, attivo a Roma nel secondo secolo. Egli muore martire: la buona teologia, a volte, può essere pericolosa.



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