Enzo Bianchi "Praticare l’ospitalità"
18 settembre 2023
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Come già avvenuto nella storia antica e recente dell’immigrazione, nei giorni scorsi gli abitanti di
Lampedusa hanno dato al mondo una lezione di solidarietà e di accoglienza aprendo le loro porte,
dando da mangiare e ospitando nelle loro case gli immigrati. Platone, nell’ultima e incompiuta sua
opera Leggi, scriveva: “Consideriamo i nostri doveri verso l’ospite straniero. Dobbiamo dire che
sono gli impegni più santi. Lo straniero infatti, isolato com’è dai suoi compagni e dai suoi parenti, è
per gli uomini e per gli dèi oggetto di un più grande amore. Perciò quante precauzioni dobbiamo
prendere, se appena abbiamo un po’ di prudenza, per arrivare al termine della nostra vita senza aver
commesso nessuna colpa verso gli stranieri!”. Per Platone il vero altro non è colui che scegliamo di
invitare in casa nostra bensì colui che emerge, non scelto, davanti a noi: è colui che giunge a noi
portato dall’accadere degli eventi e dalla trama intessuta dal nostro vivere.
L’altro è colui che sta davanti a noi come una presenza che chiede di essere accolta nella sua
irriducibile diversità; poco importa se appartiene a un’altra etnia, a un’altra fede, a un’altra cultura:
è un essere umano, e questo deve bastare affinché noi lo accogliamo.
In altre parole, perché dare ospitalità? Perché si è uomini, per divenire uomini, per umanizzare la
propria umanità. O si entra nella consapevolezza che ciascuno di noi, in quanto venuto al mondo, è
lui stesso ospite dell’umano, o l’ospitalità rischierà di restare tra i doveri da adempiere. Il
considerarsi ospiti dell’umano che è in noi, ospiti e non padroni, può invece aiutarci ad avere cura
dell’umano che è in noi e negli altri, a uscire dalla perversa indifferenza e dal rifiuto della
compassione. Il povero, il senza tetto, il girovago, lo straniero, il barbone, colui la cui umanità è
umiliata dal peso delle privazioni, dei rifiuti e dell’abbandono, del disinteresse e dell’estraneità,
incomincia ad essere accolto quando io incomincio a sentire come mia la sua umiliazione, quando
comprendo che la mortificazione della sua umanità è la mia stessa mortificazione. Allora, senza
inutili e vigliacchi sensi di colpa e senza ipocriti buoni sentimenti, può iniziare la relazione di
ospitalità che mi porta a fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per l’altro.
Ospitare è uscire dalla logica dell’inimicizia, è fare del potenziale nemico un ospite. Dovremmo
imparare a pensare il grado di civiltà in riferimento al livello dell’umanità e del rispetto
dell’umanità dell’uomo, non in termini di tecnologia e di sviluppo.
Praticare così l’ospitalità, allora, porterà con sé un dono inatteso: quasi inavvertitamente finiremo
per scoprire che facendo spazio all’altro nella nostra casa e nel nostro cuore, la sua presenza non ci
sottrae spazio vitale ma allarga le nostre stanze e i nostri orizzonti, così come la sua partenza non
lascerà un vuoto, ma dilaterà il nostro cuore fino a consentirgli di abbracciare il mondo intero.