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Massimo Recalcati "Una convivenza necessaria"

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La Repubblica, 30 dicembre 2021 

L’illusione di una “fase uno” legata alla diffusione del contagio distinta e seguita da una “fase due” che avrebbe sancito il superamento dello stato di emergenza sanitaria è durata pochissimo. Al suo posto è subentrata infatti l’amara verità di una pandemia che sembra non avere fine e che ribadisce a ondate successive la sua forza macabra. Finora ne abbiamo contate quattro. È un dato di fatto: l’uscita definitiva dall’epidemia non è ancora all’orizzonte. 

Chi avrebbe previsto questo andamento a ondate successive dell’infezione nel tempo della sua prima traumatica apparizione sarebbe stato additato come un profeta di sventure. Invece oggi dobbiamo assumerci il peso di questa aspra realtà che ormai si è imposta con prepotenza all’interno della nostra vita individuale e collettiva. Questa convivenza forzata con un ospite maligno, come abbiamo purtroppo visto e continuiamo a vedere, ha attivato meccanismi di fuga arcaici. 

Il più regressivo è quello della scotomizzazione. Accade anche quando viene diagnosticata una malattia potenzialmente mortale. Una prima risposta può essere quella che vorrebbe disattivare l’esistenza di questa realtà indigeribile: «Non può essere vero, non può essere che accada proprio a me». Quando la scotomizzazione si rivela insostenibile possono però apparire altre risposte. 

La più frequente è quella tipicamente paranoide legata alla ricerca di un colpevole: le industrie farmaceutiche, i grandi capitali, i governi, i cinesi, complotti di vario genere, ecc. A questa risposta si collegano solitamente sentimenti di odio e di rabbia. Il denominatore comune di tutte queste risposte è il rifiuto di registrare (anche psichicamente) una realtà difficile, ostile, rovinosa e implacabile come quella di una malattia che semina la morte. Ma la quarta ondata che ci colpisce ora nonostante una campagna vaccinale di massa ci costringe a fare ancora più radicalmente il lutto della nostra idea ingenua di guarigione. È anche questo un fatto: non potremo tornare semplicemente alla vita com’era prima. Piuttosto diventa sempre più chiaro che la situazione emergenziale sta evolvendo, proprio grazie alla vaccinazione di massa, in qualcosa di nuovo a cui dovremmo abituarci. 

Non si tratta di una maledizione («non ne usciremo più!»), ma di una occasione di riapertura effettiva della vita. I vaccini hanno smobilitato il dramma dell’evoluzione mortale o clinicamente grave della malattia. I nuovi contagi aumentano ma sono decisamente meno pericolosi. Sarebbe sbagliato non prenderne atto come è stato e continua a essere sbagliato negare il dramma epocale della pandemia o ricercare paranoicamente un responsabile senza registrare la sua inemendabile realtà. 

Questo a mio giudizio significa che dovremmo individualmente e collettivamente abbandonare lo stato di emergenza che ha contribuito in modo determinante a salvarci nel tempo più acuto della pandemia. 

Si tratta innanzitutto di fare cadere l’idea della vaccinazione come immunizzazione sicura che, in fondo, nonostante le ripetute ammonizioni della scienza, avevamo tutti un po’ coltivato. Dobbiamo, dunque, modificare la nostra postura mentale e abituarci all’idea di un contagio possibile senza che però esso implichi rischi gravi per la nostra salute. Dobbiamo così ritornare con fiducia alla vita, come è del resto già accaduto prima di questa ultima ondata, tenendo conto della presenza insopprimibile del virus nella nostra vita. La vaccinazione non garantisce una sicurezza assoluta, ma l’evitamento delle forme più gravi della malattia. Bisogna dunque trarre tutte le conseguenze politiche da questa evidenza clinica. 

Per coloro che hanno scelto di vaccinarsi offrendo testimonianza di una concezione solidale della vita, la malattia non ha più la tetra maschera della morte. Resta una malattia da curare tra le altre. 
L’esperienza sanitaria e civile della vaccinazione di massa ci ha di fatto restituito la vita. La scienza è stata in questo caso al servizio del bene comune come il comportamento responsabile di chi ha accettato la via della vaccinazione, dei comportamenti prudenti (mascherina, distanziamento, ecc) e la restrizione della propria libertà personale. Ma ora bisogna guardare in modo diverso alla convivenza con il virus. 

È necessario abbandonare definitivamente l’idea della guarigione come restitutio ad integrum per accoglierne un’altra che non esclude affatto la presenza tra noi della malattia nel prossimo futuro. La vaccinazione non ci rende miracolosamente immuni, ma ci consente di accettare il rischio calcolato di un contagio non più letale.
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