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Rosanna Virgili "Spiragli" – Stiamo imparando a camminare nella luce di una scia di stelle

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Avvenire 
sabato 2 gennaio 2021

Tra i riguardi raccomandati in questo tempo di pandemia, oltre all’uso della mascherina, c’è anche quello di aprire spesso le finestre. Si fa nelle scuole quando la frequenza è in presenza e, considerata la permanenza in un ambiente chiuso di più persone per l’intera mattinata, a ogni campanella scattano dieci minuti d’aria fresca. Forse non proprio piacevole nella stagione invernale, ma pur sempre gradita: uno spiraglio d’ossigeno per bocche e polmoni sottoposti a dura prova. 
Anche i bambini capiscono, e approfittano di quell’attimo di libertà nonostante il loro corpo aneli a spazi sconfinati. Dice un proverbio romano: «Di poco si vive, di niente si muore». 

La cura della pandemia ci ha persuasi anche di questo: della bontà di una sobrietà che non conoscevamo più. E non apprezzavamo più, spinti dal gusto e dal desiderio di ogni bene, ma anche dall’ansia di controllare e assicurarci tutto nel presente e nel futuro. Nell’anno che è passato abbiamo dovuto imparare a sostenerci, invece, sulla precarietà, sulle piccole cose, i piccoli risparmi. Abbiamo valorizzato i minuti per la passeggiata, la spesa limitata che potevamo fare, gli incontri ridotti a parole e quadretti di volti, dai cellulari in videochiamate; la Messa del Papa alle sette di mattina in tv. La comunione spirituale in mancanza di quella sacramentale. 

La pandemia ha segnato una crisi: una distinzione ma anche una divisione, una lucidità di giudizio ma anche una depressione. La prima distinzione è avvenuta tra i positivi al Covid e i negativi, tra i sani e i malati, tra i sommersi e i salvati: chi è guarito e chi è mancato. Subito è diventata la più dolorosa divisione: quella di stare soli, del non potersi abbracciare, della distanza fisica. Dobbiamo pensare a chi non ce l’ha fatta, a loro per primi aprire lo spiraglio di un “oltre”. Che sia di speranza per la vita che sembra perduta, ma anche d’impegno perché questo non accada più. La pandemia ha creato divisione sociale tra chi è economicamente garantito e chi no; tra chi avrà di che vivere anche domani e chi ha già chiuso la propria attività (migliaia e migliaia di aziende). Ha rivelato gli abusi con cui la nostra civiltà opprime la natura, nell’evidente respiro che l’aria, gli alberi, il colore dei fiumi hanno ripreso, durante i periodi di restrizione. 

La crisi ha mandato in frantumi l’ottimismo economico ma anche scosso l’orizzonte di quello scientifico. Storici, sociologi, attenti analisti sino all’altro ieri pensavano che l’homo sapiens stesse per trasformarsi in homo deus, vittorioso sulle malattie e prossimo a debellare anche le epidemie. Oggi ascoltiamo gli scienziati messi in crisi, al contrario, da questo virus la cui potenza – resistenza al vaccino, modificazioni… – è ancora tutta da verificare. Il traballare di questi pilastri ha provocato un sentimento diffuso di paura, il rischio di una depressione dinanzi a un possibile sfacelo delle nostre strutturali certezze, unitamente ai dubbi sul domani. 

Bisogna ricorrere, pertanto, alla sobrietà degli spiragli in termini di mezzi ma soprattutto di fiducia, per restare in piedi. Basta una scia di stelle per camminare al buio. All’arrivo dei primi vaccini all’Ospedale Spallanzani il commissario straordinario Arcuri ha commentato: «Intravediamo il primo spiraglio di luce dopo una lunga notte», anche se la strada è lunga. 

Non possiamo sederci ad aspettare il giorno ma dobbiamo allacciarci a ogni fonte di luce per andare avanti. E ce ne sono tante. La scienza non ci garantisce la vita, in assoluto, ma ci dà il vaccino. La politica non è perfetta ma segni di intelligenza si vedono e scelte di solidarietà sono state fatte in un’Europa che, prima della pandemia, era addirittura minacciata di disgregazione. La vera “unione” è ancora tutta da costruire, ma uno spiraglio pure si è aperto. La medicina non ha poteri magici, eppure donne e uomini, infermieri, medici e inservienti hanno salvato migliaia di persone con le loro mani. E spiragli di bontà, d’amicizia, di generosità si sono accesi, come in un firmamento, verso i più deboli: mense del pane, gare di carità per ogni necessità sopraggiunta. 

Anche la Chiesa ha mostrato mille fragilità in questo tempo, ma un autentico squarcio di rinascita l’ha aperto papa Francesco con la sua enciclica Fratelli tutti dove, per la ferita profonda che scava e dilania tutta la terra, ha indicato un’unica medicina efficace: l’umana fratellanza. Un vitale “vaccino per il cuore”.
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