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Enzo Bianchi Commento Vangelo 18 febbraio 2018

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📖 Gesù nel deserto, costantemente tentato 
18 febbraio 2018 
I domenica di Quaresima 
Commento al Vangelo 
di ENZO BIANCHI 


Mc 1,12-15

In quel tempo, 12lo Spirito sospinse Gesù nel deserto 13e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Il vangelo di questa prima domenica di Quaresima è breve: quattro versetti, anche se in realtà mi concentrerò quasi esclusivamente sui primi due, avendo commentato i vv. 14-15 poche domeniche fa (III domenica del tempo Ordinario). I vv. 12-13 sono molto intensi, capaci di comunicarci l’essenziale sulle tentazioni di Gesù, anche se nel nostro immaginario è impressa, dunque da noi memorizzata, la narrazione più drammatica e più precisa dei vangeli secondo Matteo e Luca (cf. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13).

Concentriamoci dunque sul racconto di Marco. Gesù è stato battezzato nel fiume Giordano da Giovanni, il suo maestro, e nell’uscire dall’acqua ha visto i cieli aprirsi, lo Spirito di Dio scendere su di lui con la dolcezza di una colomba (cf. Mc 1,9-10) e, soprattutto, ha sentito una dichiarazione rivolta a lui solo. Dal cielo, infatti, dal luogo dimora di Dio, lo raggiunge una voce che proclama: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho messo tutta la mia gioia” (Mc 1,11; cf. Sal 2,7; Gen 22,2; Is 42,1). È la voce del Padre, che gli conferma il proprio amore e la sua identità di Figlio amato; è la voce che lo abilita, con la forza dello Spirito, “compagno inseparabile di Cristo” (Basilio di Cesarea), alla missione pubblica tra i figli di Israele.

Ma appena questo è avvenuto, “subito” (euthýs) lo Spirito disceso su di lui lo spinge dove i cieli non sono aperti, bensì chiusi; lo spinge, letteralmente “lo scaccia nel deserto”, dove è presente più che mai il diavolo, Satana, colui che mette alla prova, la cui missione è dividere e separare, soprattutto da Dio. Satanâs è uno dei nomi dato a questa potenza malefica che appare fin dagli inizi della creazione (il serpente: cf. Gen 3,1) e che nei testi di Qumran è colui che guida in battaglia i “figli della tenebra” contro i “figli della luce”, colui che si oppone al Messia di Dio.

Gesù entra così in una zona d’ombra, entra nella prova, perché il deserto è terra di prova, di tentazione. Lo era stato quarant’anni per Israele, “battezzato” e uscito dalle acque del mar Rosso; lo era stato quaranta giorni per Mosè e per Elia; lo era stato per quanti erano andati nel deserto per preparare una strada al Signore (cf. Is 40,3), combattendo da “figli della luce” contro il demonio e la sua tenebra; lo era stato per Giovanni il Battista. Gesù dunque sta camminando sulle tracce lasciate dagli inviati di Dio, e in tal modo sa che deve prepararsi a quella che sarà la prova, la lotta quotidiana, fino alla morte.

In quel deserto di Giuda, accanto al mar Morto, tra quelle rocce aride, Gesù “dimora quaranta giorni, continuamente tentato da Satana”. La sua è una lotta corpo a corpo, della quale nessuno è spettatore; è una lotta interiore attraverso la quale deve imparare l’obbedienza del Figlio – “imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8), legge con intelligenza l’autore della Lettera agli Ebrei – e vincere il tentatore che si oppone alla venuta del Regno nel modo in cui Dio lo vuole e che Gesù deve assumere e fare suo, fino a rivestirsene. Sono giorni di lotta in cui Gesù lega il principe dei demoni, lega colui che è “il forte” (Mc 3,27), perché – come aveva annunciato il Battista – “il più forte” (Mc 1,7) è proprio Gesù, che scaccerà i demoni liberando uomini e donne dall’alienazione demoniaca.

Marco non ci dice nulla di preciso sulle tentazioni subite da Gesù, quelle che gli altri evangelisti, in una sorta di midrash, racconteranno come lotta contro le tre libidines dell’eros, della ricchezza e del potere, insomma lotta contro una manifestazione mondana, prepotente e arrogante del Regno. Questa descrizione volutamente così generica da parte di Marco è un’indicazione a discernere quante volte durante la sua missione Gesù sarà ancora tentato. Sarà infatti sollecitato a utilizzare la sua potenza divina per imporre in modo trionfale il regno di Dio, quando gli chiederanno un segno, un miracolo eclatante dal cielo (cf. Mc 8,11); sarà poi tentato nell’ora dell’agonia al Getsemani (cf. Mc 14,32-42) e ancora lungo tutta la passione, fino alla croce (cf. Mc 15,29-32). Gesù resterà sempre fedele alla sua missione di inviato del Padre, come giusto in un mondo ingiusto, al prezzo di non rispondere mai alla violenza con la violenza e di donare fino alla fine la sua vita.

Qui l’evangelista più antico mette l’accento sul fatto che Gesù è costantemente tentato, per quaranta giorni, senza mai cedere a una visione trionfalistica della venuta del Regno. Pienamente sottomesso al Padre, creatura tra le creature non umane del deserto (rocce, pietre, arbusti, rettili, volatili, bestie selvagge), Gesù è in profonda comunione con tutta la creazione. È come collocato al centro di essa, è il vero Adamo come Dio l’ha voluto, capace di vivere riconciliato e in pace con tutte le creature e con tutta la terra. Gesù appare come l’uomo mite, armonioso, rappacificato con il cielo e la terra, così da inaugurare l’era messianica profetizzata da Isaia: “Il lupo dimorerà con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme … Il leone si ciberà di paglia come il bue, il lattante si trastullerà sulla buca della vipera, il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso” (Is 11,6-8). Nella creazione segnata dal regno di Dio, animali e angeli, terra e cielo, basso e alto, terrestre e sovrumano, sono riconciliati e dunque in armonia con l’umanità, con il nuovo Adamo: è un’alleanza di pace cosmica. Sì, è il Regno messianico promesso da Dio a tutta la terra, che certamente è veniente. Gesù lo inaugura nel deserto, per questo subito dopo può proclamare: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto vicino”.

Ma occorre ricordare che questa “armonia” e questa “pace” sono a caro prezzo: il prezzo della kénosis, dello svuotamento e dell’abbassamento di colui che “era in condizione di Dio e svuotò se stesso (heautòn ekénosen)”, diventando uomo e spogliandosi delle sue prerogative divine, invece di tenerle gelosamente per se stesso e di considerarle un privilegio (cf. Fil 2,6-7). Proprio in questa profonda umiliazione, che è testimonianza della sua tentazione vera, reale (non un teatrino esemplare per noi!), Gesù fa pace tra cielo e terra, sicché le creature del cielo, gli angeli, nel deserto gli si accostano e lo servono. Lo riconoscono quale Dio nella carne di un uomo: Gesù da Nazaret, il figlio di Maria.

Gesù, amato in pienezza dell’amore del Padre dichiaratogli nell’ora del battesimo e accompagnato dallo Spirito santo, è ormai operante quale vincitore su Satana, sul male, sulla malattia, sulla morte. È il Messia veniente che porta la vita; basta dunque seguirlo, accogliendo il suo invito pressante che riassume in sé tutto il vangelo appena iniziato: “Convertitevi e credete nel Vangelo!”. Così Gesù proclama che il tempo si è compiuto e che il regno di Dio ormai si è avvicinato: è una realtà possibile, che gli uomini e le donne possono accogliere lasciando che Dio regni su di loro. Le potenze alienanti degli idoli, il cui principe è Satana, possono essere vinte perché Gesù le ha vinte nel deserto e poi lungo tutta la sua vita umana.

Di fronte al dono del regno di Dio, occorre dunque “convertirsi”, come ci chiede il tempo quaresimale: si tratta di mutare mentalità, di ri-orientare la propria vita alla luce del “Vangelo” che “è potenza di Dio” (Rm 1,16). E il cristiano, tentato come Gesù nel deserto di questo mondo, non potrà più sentirsi solo in questa battaglia. Come suggeriscono i salmi, egli potrà pregare: “Nella mia lotta si tu a lottare” (Sal 43,1; 119,154), e con la grazia del Signore risulterà vincitore sul demonio stesso. Noi monaci non dimentichiamo che i nostri padri del IV secolo sceglievano proprio il deserto per combattere Satana. Si narra per esempio che Antonio, esausto dopo la lunga lotta contro le tentazioni, chiese: “Ma dov’eri, Signore?”. E si sentì rispondere da Gesù: “Ero accanto a te per combattere la tua battaglia!”. La tentazione, la prova ritma la nostra vita: se non ci fosse la tentazione, ci sarebbe l’indifferenza! Ma sta a noi combatterla e vincerla con l’aiuto della grazia, pregando il Padre: “Non abbandonarci nella tentazione, ma liberaci dal male” (Mt 6,13).

Fonte: Monastero di Bose

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