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Ludwig Monti Presentazione di Gesù al Tempio

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La sua casa siamo noi
Luca 2,22-38

Quaranta giorni dopo la sua nascita – dunque, liturgicamente, quaranta giorni dopo Natale – Gesù incontra nel tempio il Dio dei padri. In obbedienza alla Torà compie la prima offerta rituale attraverso i suoi genitori e viene accolto dal popolo dei credenti nelle persone di due poveri appartenenti al “resto di Israele” che confidava solo nel Signore (cf. Sof 3,12-13) e attendeva la venuta del suo Messia.


Nel tempo di Natale abbiamo già meditato, in tre tappe, su questo brano di Luca. Ci poniamo dunque una semplice domanda: che senso ha per noi, oggi, celebrare la festa della Presentazione del Signore?

Occorre innanzitutto cogliere la novità dirompente, dovuta alla persona di Gesù: presentato nella casa di Dio, “entra nel suo tempio come Signore” (cf. Ml 3,1) e non viene riscattato con denaro, perché è lui “la redenzione di Gerusalemme”; non viene santificato (cf. Es 13,2.12), ma è riconosciuto Santo, come già proclamato dall’angelo a Maria (cf. Lc 1,35). Qui c’è “qualcuno più grande del tempio” (Mt 12,6) e anche della Legge! Gesù non ha mai trasgredito la Legge, e anche quando ha purificato il tempio lo ha fatto come gesto di amore verso la casa del Padre suo, ridotta a una spelonca di ladri (cf. Mc 11,15-17 e par.; Ger 7,11). Il quarto vangelo, nella sua prospettiva “altra”, ci fa comprendere il senso di tale azione:

Gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” … Egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2,18-19.21).

È con il suo corpo, con tutta la sua persona che Gesù è stato il tempio definitivo, fino a essere richiamato dalla morte alla vita eterna da parte del Padre. È stato “salvezza, luce, gloria, redenzione”. E lo è stato nella piena libertà e obbedienza (resistenza e sottomissione, direbbe Bonhoeffer) del credente: nella postura di chi, per amore, compie fino alla fine la propria verità, a costo di essere “un segno contraddetto, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Di fronte a Gesù, “venuto a portare sulla terra la divisione” (cf. Lc 12,51), occorre decidersi: accettiamo o rifiutiamo (non c’è una terza possibilità!) che sia lui a giudicare la nostra vita?

Dopo la sua resurrezione Gesù dimora in ciascuno di noi, suo tempio (cf. 2Cor 6,16; Ef 2,21). Di conseguenza la nostra responsabilità è quella descritta in un brano della Lettera agli Ebrei purtroppo poco conosciuto: “La sua (di Cristo) casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo” (Eb 3,6). Parole straordinarie, inesauribile programma di vita!

Il Signore Gesù è venuto nella carne e verrà nella gloria alla fine dei tempi. Nel “frattempo” ogni giorno viene a noi, si presenta alla porta del nostro cuore, chiedendoci solo di essere accolto: lasciamo che sia lui a svelare ciò che ci abita e a illuminare le nostra profondità con il suo Vangelo. E non dimentichiamolo: “La sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo”. È vivendo nelle nostre relazioni questa libertà e questa speranza che possiamo presentarci a Dio ogni giorno, fino a quando ci presenteremo a lui, sostenuti da Cristo, alla fine della nostra vita.

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