Enzo Bianchi “Una forte scossa nel cammino sinodale”
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Questo è davvero un tempo di apocalissi, di epifanie, cioè di manifestazioni, perché si sta alzando il velo su molte realtà, su molte miserie soprattutto della Chiesa.
La Chiesa italiana è in Cammino sinodale dal 2021, dunque da quattro anni, e giunto il tempo di tirare le somme e verificare il cammino faticosamente percorso, si ritrova in un'aporia grave che illustra bene il suo malessere, da tempo denunciato da alcuni con amore e senza contestazioni. È una Chiesa che non ascolta, nonostante i richiami anche infuocati che Francesco ha fatto non solo a Firenze. Il Papa aveva chiesto un Sinodo per la Chiesa italiana, ma ci sono voluti cinque anni prima che i vescovi accettassero di intraprendere questo cammino. E nonostante li avesse messi in guardia dal ripetere schemi del passato nel progettarlo, dal chiamare i soliti addetti ai lavori, attori in una struttura burocratica che non si rinnova, il Sinodo ha preso le mosse esattamente copiando i Sinodi precedenti nella cooptazione dei membri e nella stesura dei progetti. Fra l'altro, questo è un Sinodo al quale pochi cattolici intervengono (solo gli addetti ai lavori, le varie associazioni, i movimenti... insomma, le solite facce!), non sono stati chiamati a partecipare né cristiani con messaggi e volti profetici, né dissenzienti desiderosi però di comunione. Mi domando perché si sia dovuto passare a un altro Sinodo non istituzionale ad Assisi, nei giorni 22-23 febbraio, di 160 persone, cui hanno partecipato comunità di base e realtà vive, diverse per stile ma in piena comunione cattolica. E poi perché imitare il Sinodo generale con i suoi tavoli di lavoro che riducono la possibilità che tutti ascoltino la voce dei partecipanti? Non rischia questo metodo di assopire la voce, di non lasciare loro tutta la forza e la capacità di ascolto generale e di eco che può aversi solo in un'assemblea? I gruppi aiutano per gli approfondimenti, ma — e ve lo dice uno che ha esperienza ventennale di prassi sinodale in una comunità monastica — i gruppi possono spingere in una direzione o spegnere e non far sentire a tutti le voci più singolari, intriganti, e a volte frementi. Si ricordi anche, e questo mi viene dalla prassi monastica, che c'è un modo di far intervenire tutti che vuole apparire democratico, ma in realtà è un lasciare all'autorità la decisione ultima, senza tener conto di troppe voci ascoltate, senza misurarne il peso carismatico, il dono che contengono. Anche l'ascolto può diventare un mito e paralizzare anziché aiutare la formazione di una decisione che dev'essere partecipata, ma poi va presa con autorevolezza da chi è investito del carisma del presiedere.E così è stato presentato un testo di 50 proposizioni da discutere, votare e poi sottoporre ai vescovi. Dovevano essere il frutto del lungo Cammino sinodale e trasmettere il messaggio, le richieste e il desiderio della Chiesa espressi nel corso di tanti lavori e confronti. Ma quando i membri sinodali hanno avuto tra le mani le proposizioni sono rimasti sconcertati. Non solo non era presente la ricchezza del cammino fatto, ma lo stile era burocratico, spento, grigio: proposizioni che evitavano accuratamente il dibattito, ogni possibile rinnovamento, riforma, cenno di profezia. Un testo stanco, redatto dagli addetti ai lavori che non hanno ascoltato il cammino percorso. La posizione, fin da subito, è stata: "Questo testo non c'entra con ciò su cui abbiamo riflettuto e lavorato, è un testo indegno, scritto da funzionari dietro le loro cattedre, con intenzioni pregiudiziali che pesano nella riserva teologica di chi deve ancora comprendere la dinamica profetica indicata dal concilio Vaticano II".
Neanche i testi della Cei, dei vari programmi degli anni del secolo scorso erano così spenti e amministrativi. Ma chi li ha stesi? Perché si è dato l'incarico a queste persone? E in nome della trasparenza, perché non svelare la loro identità? E i vescovi, soprattutto il Consiglio permanente della Cei — in particolare il cardinal Zuppi e l'arcivescovo Castellucci — dov'erano? Non hanno letto le proposizioni prima di presentarle all'assemblea? Il teologo Giuseppe Lorizio ha scritto: «Visto l'esito dell'assemblea, una leadership seria e a servizio della Chiesa e del Paese dovrebbe semplicemente dimettersi, visto che non è stata e non è capace di interpretare il sentire ecclesiale espresso da membri certo non pericolosamente rivoluzionari» (Settimana News, 3 aprile 2025).
È lecito chiedersi: chi ha steso le 50 proposizioni seguiva un disegno preciso di restaurazione, dimenticando tutta la novità apparsa con papa Francesco e il nuovo metodo di fare Sinodo da lui iniziato, e dunque si è ribellato, come ipotizza Andrea Grillo, oppure semplicemente con stanchezza, senza crederci, ha scelto le proposizioni senza praticare l'ascolto di ciò che era stato detto? Difficile per me dirlo. Sovente negli organismi burocratici, lo dico per conoscenza diretta, c'è più ignoranza, ignavia, sonnambulismo spirituale che oculatezza nelle scelte. E senza cattiveria, perché tra loro si pensa che intanto nulla cambierà e non vale la pena di sperare il nuovo.
Purtroppo, di fronte a questo clamoroso incidente, anziché pentimento e assunzione delle responsabilità, si è indorata la pillola: difficoltà, ritardi e peccati dicono che "la Chiesa è viva", ma sta vegetando. Incidenti di percorso insomma... Ecco, ciò che è avvenuto è il più chiaro sigillo a quello che presuntuosamente e con arroganza è stato chiamato: "fase profetica"! Ma la profezia porta sangue, esige il dono della vita, spendere la vita per gli altri secondo la volontà di Dio e non si nutre certo di slogan, proposizioni, auguri per il futuro.
Quanti auguri nelle proposizioni! "Si faccia"... "Si cerchi"... Ma un'assemblea sinodale ha l'autorità di legiferare, non di fare auspici, continuando questo susseguirsi di auguri che si rinnova da più di trent'anni: come quello di «promuovere la nomina di donne (laiche e religiose) a guida degli uffici che abbiano responsabilità pastorale»: «Si promuova...».
Va poi denunciata la superficialità di molti passaggi del testo. Da sempre attenti alla liturgia ci siamo molto stupiti di come si sia giunti a pensare che «l'Ars celebrandi riguarda solo presbiteri e diaconi», come se l'assemblea liturgica non fosse celebrante. Ecco rispuntare qui il clericalismo! E poi, ancora una volta, viene vietata ai laici la predicazione, l'omelia nella celebrazione eucaristica, quando ormai è assodato che in molte Chiese è affidata, con mandato del presbitero che presiede, a un laico o a una laica, cui è riconosciuto un carisma di competenza! Questo alla "proposizione 10"; ma subito dopo, con una disinvoltura che mi atterrisce, sta scritto alla "proposizione 11": «Sia predisposta a livello regionale una revisione dei formulari e dei testi liturgici interrogandosi sulla loro efficacia comunicativa, in dialogo con i giovani».
Veramente c'è da arrossire, e chi ha scelto questo articolo non sapeva ciò che faceva. Perché una revisione dei testi liturgici, chiamati "formulari", è un processo lungo e complesso. Quando la Cei volle creare "collette" per la nuova edizione del Messale del 1983 chiese di stendere testi appropriati per le domeniche ad Anna Maria Canopi, David Maria Turoldo, Enzo Lodi e altri. Chiesero anche a Dossetti e a me; entrambi rifiutammo perché quello era un lavoro impossibile da portare a termine in pochi mesi, e per farlo occorreva il concorso di biblisti, liturgisti, patrologi, teologi... Per cui parlare in questo modo di revisione dei "formulari" liturgici è davvero da insipienti! Il cardinale Zuppi ha comunicato che l'attuale testo delle proposizioni è stato rifiutato; sarà riscritto e votato il 25 ottobre da un'assemblea straordinaria a Roma, e poi presentato all'assemblea Cei a novembre 2025.
Cari lettori, siate desolati per simili eventi che narrano le miserie di una Chiesa, quella italiana, che in questo momento mostra una debolezza. Non una debolezza evangelica, ma una debolezza dovuta al suo essere debole di fede, all'aver perso la centralità della speranza in Gesù Cristo. La gioia sarà piena quando la Chiesa sarà in ascolto del Vangelo, perché la gioia viene da Cristo, non da ciò che la Chiesa fa.