Enzo Bianchi “Io, cattolico e malato, vi dico che la lotta al dolore non è peccato”
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La Stampa 27 marzo 2025
per gentile concessione dell'autore
Negli ultimi tre anni della mia vecchiaia mi ha abitato sovente l'esperienza del male fisico, il male
vissuto nel mio corpo a causa di malattie e cure lunghe e gravose. Ho provato ciò che quasi tutti,
prima o poi nella loro esistenza, vivono penosamente, con fatica e soprattutto schiacciati
dall'enigma del perché. Sappiamo che l'umano è homo patiens, che conosce la sofferenza e da essa
non può evadere. La sofferenza può essere morale, psichica - non si sfugge al soffrire per amore o
per un'ideale che si vuole testimoniare in un mondo ostile -, ma la sofferenza fisica che aggredisce a
un certo punto il corpo ci sembra chiaramente estranea, più difficile da capire e da sopportare.
Perché si soffre? Unde malum? Da dove viene il male?
Le religioni, le spiritualità, la filosofia hanno cercato di dare una spiegazione ma in realtà resta
l'enigma. Nel cristianesimo si è fabbricata un'immagine di Dio, in verità perversa, che ha però
attraversato i secoli e solo recentemente viene letta non come parola di Dio ma come parola umana
contro Dio. Abbiamo tutti nelle nostre profondità un senso di colpa che emerge e riveste le forme
della dottrina cattolica: siamo assaliti dal male e dalla morte perché abbiamo peccato. Ancora ai
nostri giorni vi sono autorità delle chiese che hanno spiegato prima l'HIV e poi la pandemia come
conseguenza del peccato degli umani, soprattutto a causa della libertà sessuale che si è instaurata, e
così, quando una malattia ci colpisce, la prima reazione è: «Cosa ho fatto di male?». Ma questa è
una dottrina tipica degli uomini religiosi che hanno fabbricato l'immagine del Dio giudice
implacabile, uno spione che guarda i peccati e li scova, un po' come il mestiere di certi preti... Ma
Gesù di Nazareth ci ha raccontato un altro Dio: un Dio che ama senza che dobbiamo meritarlo, un
Dio che anticipa il perdono delle nostre colpe, un Dio che vuole la vita e non la morte di chi pecca.
Da dove viene il male? Non certo da Dio, alcuni propongono da noi stessi, dal nostro
comportamento, a cominciare da come viviamo nella natura e rispettiamo l'ambiente, fino al male
che ci viene dal nostro cattivo operare verso gli altri perché percorriamo strade mortifere. Altri mali
vengono dalla nostra condizione di umani "mortali", come dicevano i greci, umani fragili, che
nascono crescono, decadono e muoiono in armonia con tutto l'universo che vive questo ciclo della
vita.
Certo, la sofferenza fisica è scandalosa: quella del bambino morente, quella del vecchio malato...
Quanto dolore fisico c'è nel mondo! E sia chiaro: Dio non può fare nulla! Non può intervenire se
non con l'invio dello Spirito santo che permette di vedere pepite di luce dove c'è solo tenebra, che
permette la speranza che il dolore fisico finisca e ci sia una vita "altra", in un mondo "altro". Tutta la
predicazione di Gesù, il suo incontro con chi soffre, si potrebbe riassumere in questo messaggio:
«Beato, ora soffri, ma tuo è il Regno dei cieli».
I cristiani, che spesso si credono tali perché mossi da un generico sentimento religioso, offrono a
Dio il loro dolore, offrono a Dio la loro sofferenza. Ma Dio non sa cosa farsene dei nostri dolori,
non è uno Zeus che ha bisogno del nostro sangue e del nostro pianto. Dire a qualcuno: «Offri a Dio
il tuo dolore e la tua malattia» (purtroppo avviene) è una bestemmia. C'è anche chi, sulla scia di
Nietzsche, afferma che il dolore tempra, fa bene, innalza l'individuo al di sopra della sterile
quotidianità, forgia uno spirito combattivo, ma in realtà quasi sempre abbrutisce, rende più egoisti,
più chiusi... e più inclini alla guerra! Queste affermazioni dovrebbero essere escluse da ogni
cammino di umanizzazione: soffrire per amore ha senso, soffrire per testimoniare Cristo ha senso, il
soffrire fisico non ha nessun senso! Lo dico e lo ripeto da credente dopo esperienze di dolore.
Ecco perché sono di primaria importanza le cure palliative, perché spengono il dolore ed evitano
ogni accanimento terapeutico. Purtroppo queste sono accessibili sul territorio nazionale solo a macchia di leopardo, non tutti ne possono usufruire, anche perché manca ancora una cultura del
dolore. Eppure solo così si può umanizzare il dolore e anche se queste cure abbreviassero la vita
vanno assolutamente praticate perché la dignità della persona del malato sia rispettata e venerata.
Ma la guerra al dolore sia senza tregua!