Enzo Bianchi "L’invenzione del nemico"
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di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Nelle ultime vicende politiche del nostro Paese, non lo si può negare, abbiamo assistito a un
conflitto personalizzato tra soggetti politici: l’avversario è stato caricato di inimicizia e rancore,
diventando così il nemico. È stata un’epifania di quel che si vive e si respira oggi nella nostra
società: siamo sempre più arrabbiati, rancorosi e facilmente inventiamo dei nemici. Sì, perché
accade che "ci facciamo dei nemici", non solo "abbiamo nemici".
Come si inventano i nemici?
Anzitutto con la parola, quando ci esprimiamo su un altro con diffidenze che diventano presto
accuse e quindi calunnie. Percorriamo la strada dell’inimicizia perché percepiamo l’altro in
competizione con noi, perché ci sembra un ostacolo alla nostra autoaffermazione, perché l’invidia o
la gelosia ci spingono a rimuoverne la presenza.
Il rancore e l’aggressività che sono nell’aria, che ammorbano i talk show e i social, sono molto più
contagiosi del virus che cerchiamo di combattere con uno sforzo di responsabilità collettiva. La
permeabilità al "così fan tutti" ci spinge a cercare i responsabili, a individuare quanti, vicini o
lontani ma sempre ben definiti, possono essere percepiti e quindi classificati come nemici, "i miei
nemici", quelli che mi fanno del male e mi ostacolano.
Allora non c’è più un riconoscimento dei legami vissuti, dell’essere fratelli o parenti, amici o
amanti. L’odio domina, ma l’affermazione che si dovrebbe avere il coraggio di fare – "Io odio" –
viene proiettata sull’altro e trasformata in "Mi odia". Questo capovolgimento di prospettiva mi
autorizza a sentirlo come un nemico e a trattarlo con inimicizia.
Infine, soprattutto nei gruppi, si assume la logica del capro espiatorio.
In particolare, chi detiene un certo potere e può influenzare gli altri cerca di riversare su chi gli
appare come un ostacolo o un rivale il rancore e la responsabilità dei mali che affliggono il gruppo.
Così si scarica l’odio sull’altro, si rende più saldo il proprio potere e si rimuovono dubbi e
domande.
Eppure il nemico, presenza che non può scomparire dall’esperienza umana, potrebbe essere
occasione di insegnamento e di lezione. Ha scritto il Dalai Lama: "I nostri nemici sono i nostri più
grandi maestri. Di fronte a essi possiamo verificare il nostro rispetto e la nostra accoglienza
dell’altro. Possiamo interrogarci: ci siamo fatti dei nemici oppure i nemici sono davanti a noi per
rivelarci le nostre debolezze e renderci più capaci di bontà?". Anche abba Zosima chiedeva ai suoi
monaci di considerare il nemico come un medico che guarisce dall’orgoglio, dalla vanagloria e
dall’arroganza. E non posso certo dimenticare Gesù e il suo comandamento radicale: "Amate i
vostri nemici e fate del bene a quelli che vi odiano".
Ma si intenda bene: amare è una cosa seria, un’operazione che richiede intelligenza e non permette
di essere remissivi. Ci si disarma perché il male lo si vince rompendo la catena del male. Se si
pratica l’"occhio per occhio", tutti diventiamo ciechi; se invece immettiamo nell’aria perdono,
amore e tenerezza, allora saremo contagiati da questo buon virus.