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Enzo Bianchi "La Chiesa e la lezione del piccolo resto"

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La Repubblica 
  6 maggio 2024
per gentile concessione dell’autore. 

Sappiamo che la Bibbia, il grande codice dei cristiani, contiene in modo irrinunciabile la Bibbia ebraica che viene letta e meditata come il Nuovo Testamento.

Per i cristiani contiene la parola di Dio rivolta al suo popolo, che echeggia ancora oggi. E ci dà lezioni, una decisiva: la lezione del piccolo resto. Nella storia di Israele con il suo Dio è coinvolto tutto un popolo ma in esso c’è un resto, una porzione che, sopravvissuta alle distruzioni a causa della sua giustizia, è rimasta nello spazio della fede in Dio. Ne fanno parte quasi sempre poveri, ‘anawîm curvati dalle oppressioni, ma sono hassidim, giusti-fedeli che conservano le promesse di Dio e attendono il suo giorno, di liberazione ma anche di giudizio sul mondo. Sono diverse le epoche della storia in cui sono avvenute le catastrofi-shoah all’origine della redenzione e di un ricominciare, purché le leggiamo come tempi di crisi e di amore nuziale tra Dio e i suoi fedeli. Ma emerge anche che, dopo la prova e la distruzione, il popolo sa piangere le sue ribellioni, le sue contraddizioni alla volontà di Dio, sa dal pentimento risalire alla conversione. Le Lamentazioni di Geremia, libretto composto da lacrime e preghiere, ne sono una testimonianza. 

Ed ora noi siamo in una situazione simile nella vita della Chiesa: attraversiamo una crisi profonda, almeno in Occidente, assistiamo alla diminuzione dei fedeli, e alcuni senza essere profeti di sventura parlano di un venir meno della fede ripetendo le parole di Gesù: “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà troverà ancora la fede sulla terra?”. 

Chissà quali sono i sentimenti dei cristiani che sembrano non preoccuparsi di questa crisi di fede. 

Gesù non ha fatto promesse sulla presenza perenne dei cristiani, ha detto che le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa perché lui, il Risorto, ha vinto. 

Ma in questa crisi ciò che mi preoccupa è che nella Chiesa non si piange, non si dà pentimento né si compongono lamenti, come a suo tempo fece Geremia. Anzi, i lamenti di Geremia non si cantano più nella liturgia perché troppo funebri e tristi per gli umani contemporanei. 

Ora, siamo convinti che sia finita l’epoca della cristianità, la forma che la Chiesa ha avuto nel mondo da Costantino ai nostri giorni, e che non per questo il cristianesimo verrà meno: anzi, il cristianesimo non fa che risorgere ieri come oggi. 

Il piccolo resto ha questa fede, nella coscienza di non essere un gruppo settario o una porzione privilegiata. 

Anzi sa di essere fatto di peccatori, gente debole ma con una scintilla di fede nel cuore. Il piccolo resto sa che più che cristiani si è uomini e donne che tentano di diventare cristiani. Il piccolo gregge non si separa dagli altri, dalla Chiesa, ma della Chiesa istituzione non fa un assoluto. Sa che lo Spirito di Cristo soffia quando vuole e che molti discepoli di Gesù dichiarati tali staranno fuori dal Regno e così molti che qui sembrano fuori saranno presenti e vivi nel Regno. 

Forse anche questa esperienza storica del piccolo resto degli ebrei ci può insegnare molte cose.





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