Enzo Bianchi "Prendersi cura dall’inizio alla fine"
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose
La pandemia ha ripreso a espandersi anche nel nostro Paese e ogni giorno constatiamo la crescita
del numero dei ricoverati negli ospedali, di quelli che necessitano di cure intensive e di quelli che
muoiono. Torna dunque la paura, l’angoscia, soprattutto per i più fragili, gli anziani e i malati, per
quanti vivono i loro ultimi giorni nelle case di riposo.
Ciò che atterrisce in questo itinerario del coronavirus non è tanto l’evento della morte quanto la
modalità disumana del morire.
Ormai lo sappiamo tutti, perché ne siamo stati testimoni in prima persona o ne abbiamo ascoltato i
racconti: all’improvviso i malati erano portati via da casa, strappati ai loro cari, che non potevano
accompagnarli; sequestrati in fredde strutture tecnologiche e per giorni isolati. E se ne sono andati
verso la morte in solitudine, senza uno sguardo, una carezza, una parola dei loro cari. Anche molti
cristiani se ne sono andati senza poter contare su quegli ultimi conforti sacramentali nei quali per
tutta la vita hanno posto una certa fiducia, al fine di attraversare la morte nella pace e nella speranza
della salvezza.
Proprio perché questa esperienza è stata molto forte e oggi si riaffaccia, mi sembra urgente che ci si
prepari a questa nuova emergenza con la precisa intenzione di fare tutto il possibile per umanizzare
tale morte. Medici, personale sanitario, ministri delle chiese devono prestare tutta l’attenzione per
"curare" e "accompagnare", anche quando l’obiettivo di guarire è irraggiungibile e quando la cura
necessita di sforzi particolari per evitare il contagio. Purtroppo vi è una scarsa sensibilità su questo
tema e il valore della guarigione oscura quello del prendersi cura, in obbedienza a logiche di
efficienza e di utilitarismo che misurano sempre gli interventi medici in termini di risultato, di
guarigione.
Dobbiamo invece umanizzare le modalità della morte per Covid, in considerazione della dignità
della persona e del suo valore irripetibile e perché mai vi sia la tentazione di abbandonare a sé un
essere umano giudicato inguaribile. Una vita umana non può essere preferita a un’altra.
Il paziente va accompagnato con una presenza concreta che gli sia vicina e gli offra aiuti clinici,
psicologici e morali, aiutandolo a elaborare i conflitti interiori, a spegnere gli incubi e i fantasmi
demoniaci che lacerano l’interiorità di fronte alla morte.
Occorre impegnarsi a fornire tentativi di risposta e di senso, nella condivisione di una fragilità
umana e di una precarietà esistenziale che nasce dalla consapevolezza sempre comune, mai solo
individuale, che la vita ha un termine, che la condizione umana porta con sé dei limiti e che ciò che
salva una vita sono gli affetti vissuti.
Sì, compito faticoso ma grande dei medici e degli operatori sanitari è prendersi cura dall’inizio alla
fine di una vita umana, anche se non sempre si può giungere alla guarigione. Perché se esistono
malattie da cui non si guarisce, nessuna persona è però incurabile.