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Enzo Bianchi Pregare significa entrare nel cuore della storia

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«Intercedere significa fare un passo in mezzo, entrare nel vivo delle situazioni», dice il priore di Bose. Il suo libro "Perché pregare, come pregare" inaugura la nuova serie della Biblioteca universale cristiana: 12 volumi allegati a Famiglia Cristiana a partire dall'11 settembre.
Davvero un bel rebus la preghiera. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, lo dice chiaro e tondo: «Noi nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8, 26-27), assicurando, però, il “soccorso” dello Spirito Santo.Agostino, invece, sosteneva che non servono le parole: «Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime che con i discorsi».

Padre André Louf, monaco trappista francese morto nel 2010 e grande maestro di spiritualità, sosteneva che «la preghiera più contemplativa e l’azione più impegnata sono praticamente identiche». Per un laico inquieto come Cesare Pavese la preghiera è nient’altro che «lo sfogo come con un amico».

Forse, però, bisogna chiedersi se per l’uomo secolarizzato e iperattivo di oggi sia ancora possibile pregare. A tutte queste questioni, Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, ha dedicato un libro. Il titolo, eloquente, va dritto al punto: Perché pregare, come pregare, che verrà allegato al numero di Famiglia Cristiana in edicola dall'11 settembre.

Partiamo proprio da qui. Oggi pregare non rischia di essere un lusso?
«È vero, è un momento di crisi per la preghiera e questo appannamento si avverte in tutto il cosiddetto mondo occidentale, che corrisponde al mondo dell’abbondanza, dell’opulenza. La preghiera viene a mancare perché l’uomo confida talmente in sé stesso, nella scienza e nella tecnica che gli sembra di non aver più bisogno di Dio. Per questo dobbiamo fare un atto di discernimento e chiederci anzitutto che cos’è esattamente la preghiera cristiana senza confonderla con la preghiera tout court».

Qual è lo specifico del pregare cristiano?
«È vero che la preghiera è un’espressione universale dell’umano ma la preghiera cristiana ha una sua peculiarità. Essa consiste anzitutto nell’ascoltare Dio prima ancora di parlargli, chi prega si mette in ascolto prima di chiedere a Dio qualcosa. Questo significa che la preghiera deve trasformarsi, rifiorire: dobbiamo ridarle il primato cristiano dell’ascolto. Oggi, invece, accade sempre più spesso che la preghiera venga presentata come una pratica che genericamente “fa bene”, che “giova alla buona salute del corpo”, oppure come un’attività di igiene mentale, come un antidepressivo. Il senso autentico della preghiera cristiana non è questo».

Dunque pregare finisce per passare in secondo piano?
«Un tempo si discuteva molto di certe modalità di pregare: le devozioni, la pietà popolare. Le scuole di spiritualità hanno sperimentato e proposto tante forme di preghiera, che rappresentano anche un rinnovamento spirituale. Pensiamo alla preghiera contemplativa che ci ha insegnato la scuola di Charles de Foucauld alla fine del secolo scorso. Oggi, però, la domanda è più radicale: non è tanto come pregare ma perché pregare. La preghiera, per il cristiano, non è un atto automatico o scontato, per farlo bisogna avere la fede o ritrovarla. Uno prega se ha fede, se nutre la fiducia di ottenere risposta, se è sorretto dalla speranza di essere in una relazione, se è fiducioso di poter ascoltare un Altro e di poter essere a sua volta ascoltato. Oggi la contestazione alla preghiera è molto più radicale in Occidente rispetto ad altre parti del mondo, dall’Africa all’America latina, dove pure ci sono forme profonde di preghiera, perché qui da noi si è smarrito il senso stesso del pregare».
La fede è fondamentale, quindi...
«Certamente. Anzi, direi che il problema della preghiera è un problema di fede, la preghiera è l’eloquenza della fede, se non c’è l’una non c’è neanche l’altra».

Non c’è il rischio che anche il cristiano avverta la preghiera come inutile o comunque poco concreta? «Il cristiano deve saper leggere la storia e vedere che nella storia una componente costante è proprio la preghiera: ce lo dicono tutti i libri della Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse. In realtà, quando preghiamo non facciamo un’attività intellettuale o di pensiero ma ci predisponiamo a entrare in una situazione, in un contesto di relazione. L’intercessione, pregare per la pace, per i migranti morti nel Mediterraneo o i cristiani perseguitati e uccisi, non è inutile perché ci prepara a essere responsabili nei confronti di questi fratelli. Intercessione significa, letteralmente, fare un passo in mezzo, entrare nel vivo delle situazioni della storia. La preghiera non è evasiva. È significativo che papa Francesco chieda insistentemente di pregare per lui, per la Chiesa, per tante situazioni difficili. È come dire: cari fratelli, vi chiedo corresponsabilità, vi chiedo di operare insieme, in comunione, questo è il senso autentico e profondo del pregare insieme. Senza la preghiera non si prepara nulla di quella che è un’azione all’interno della storia».


Si potrebbe obiettare che oggi manca il tempo per pregare.

«È un problema concreto ma anche falso. In realtà, quel che è difficile per noi non è tanto pregare quanto fermarsi, stare da soli, restare in silenzio. Chi afferma di non avere tempo è un alienato del tempo, che non domina e ordina il tempo e la sua vita ma ne è inghiottito».
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