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Enzo Bianchi, Fabio Rosini, Rosanna Virgili "Commenti Vangelo 19 febbraio 2023"

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"Commenti Vangelo 19 febbraio 2023"

VII Domenica del Tempo ordinario 

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 Non fate come fanno gli altri 
  Mt 5,38-48

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: « ³⁸Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. ³⁹Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, ⁴⁰e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. ⁴¹E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. ⁴²Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. ⁴³Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. ⁴⁴Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, ⁴⁵affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. ⁴⁶Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? ⁴⁷E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? ⁴⁸Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

 

 

Dopo le prime quattro antitesi annunciate da Gesù nel “discorso della montagna”, ecco le ultime due, nelle quali appare ancora la “differenza” richiesta da Gesù ai suoi discepoli rispetto alla Legge di Mosè, confermata ma approfondita e reinterpretata.

 

In questo caso viene messa a fuoco la violenza: come arginarla? Come rispondere a essa? Certo, nella Torah si trova scritta la “legge del taglione”, della reciprocità tra chi ha offeso e chi è stato offeso (cf. Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21), legge data per impedire il deflagrare degli eccessi della violenza, che facilmente viene moltiplicata per ripagare l’aggressore. Si ricorda, ai primordi dell’umanità, il canto selvaggio e barbaro di Lamek, che si vantava di vendicarsi non sette volte, come Caino, ma settanta volte sette (cf. Gen 4,24). Dunque la legge del taglione è un limite, un argine alla violenza: “Occhio per occhio e dente per dente”. Non scandalizziamoci di fronte a questa ingiunzione, perché ancora oggi siamo testimoni di fenomeni di vendetta moltiplicata, come la “faida” o la rappresaglia nelle guerre, nelle lotte razziali, nella violenza terroristica.

 

Ebbene, con la sua autorità Gesù può dire anche in questo caso: “Ma io vi dico di non resistere al malvagio”, proponendo una pratica di non-violenza che è un nuovo modo di resistenza attiva, una resistenza inaudita perché mite, umile, misericordiosa. Solo così si può arrestare la reazione a catena della violenza. È in questa logica di non-violenza che Gesù propone dei casi, degli esempi di violenza subita, indicando come rispondervi. “Se uno ti percuote con uno schiaffo”, fatto quotidiano anche nella vita famigliare, “se tu vuoi essere discepolo porgi l’altra guancia”. Linguaggio semitico, per noi forse eccessivo, che non vuole suggerire un’esecuzione materiale del comando, ma piuttosto indica lo “spirito” che deve ispirare l’atteggiamento verso l’aggressore. Non a caso, secondo il quarto vangelo, dopo aver ricevuto uno schiaffo da una delle guardie del sommo sacerdote, Gesù non gli porge l’altra guancia (cf. Gv 18,22), ma replica con assoluta mitezza: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Questo comando rivolto personalmente a ogni discepolo non esige ingenuità né passività di fronte alla violenza, ma richiede di essere sempre “artefici di pace” (Mt 5,9). E nel caso di un pignoramento, se viene tolta la tunica, Gesù chiede di dare anche il mantello, che la Legge vieta di togliere al povero (cf. Es 22,25-26; Dt 24,10-13).

 

Ma ripeto: Gesù non predica rassegnazione, non chiede di lasciare che l’ingiustizia trionfi, ma chiede un atteggiamento creativo, sempre capace di toccare l’aggressore, di fargli ascoltare una domanda che egli non si pone. In ogni caso, davanti all’ingiustizia patita, occorre non tacere mai, non fuggire, ma intervenire, pur rinunciando sempre all’offesa e alla violenza. Sempre si tratta di “vincere il male con il bene” (cf. Rm 12,21). Ciò è richiesto al discepolo anche quando è costretto a fare strada da qualcuno, a quei tempi spesso l’occupante romano: accetti di camminare più di quanto gli è richiesto… Perché la logica evangelica è rispondere al male facendo il bene, rispondere positivamente a chi ha bisogno.

 

Segue la sesta e ultima antitesi: “Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo’ (Lv 19,18) e odierai il tuo nemico, ma io vi dico…”. Nella Torah non sta scritto materialmente da nessuna parte di odiare il nemico, ma resta vero che nelle Scritture vi sono testi che non solo giustificano l’odio per il nemico, ma lo richiedono, soprattutto se il nemico personale è sentito anche come nemico di Dio. Al riguardo, va denunciato un vizio tipico delle persone religiose: quando hanno un nemico personale, facilmente, pensando che Dio sta dalla loro parte, si sentono autorizzate a odiarlo a nome di Dio, pregando addirittura contro di lui salmi di imprecazione. Emblematico è il caso del salmo 139: “Non devo forse odiare chi ti odia, detestare i tuoi avversari, Signore? Li odio con odio implacabile, li ritengo miei propri nemici!” (vv. 21-22). Sì, le persone religiose odiano più intensamente delle altre, ritenendosi giustificate e appoggiate da Dio!

 

Ecco perché Gesù toglie ogni possibilità a questa deriva e non asseconda neppure il linguaggio immaginifico di cui vi sono tracce negli scritti di Qumran: “Amerai i figli della luce e odierai i figli delle tenebre”. Al contrario, egli comanda: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Parole scandalose, inaudite, che sembrano trascendere le nostre capacità umane. Eppure questa è per Gesù nient’altro che l’interpretazione del comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Ovvero, lo amerai sempre, in ogni situazione, anche quando ti è nemico, anche quando ti fa del male; anzi, simultaneamente all’offesa ricevuta, continuerai ad amare di un amore che si spinge fino a pregare, a chiedere a Dio il bene per il persecutore. Può forse un cristiano classificare come nemiche e odiare quelle persone alle quali Dio, Padre di tutti, concede senza alcuna discriminazione il sole (la vita) e la pioggia (la fecondità), i beni della creazione?

 

Il discepolo di Gesù capovolge la logica delle Scritture dell’Antico Testamento. Se nei salmi è richiesto di pregare contro i nemici (cf. Sal 17,13; 28,4; 69,23-29, ecc.), Gesù invece chiede di pregare per il loro bene, di benedire chi maledice (cf. Lc 6,28). Se egli lo chiede, è perché questo è l’atteggiamento di Dio, come l’Apostolo attesta nella Lettera ai Romani: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi … Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio” (Rm 5,8.10). Questa è la “differenza cristiana”, la differenza del discepolo di Gesù rispetto a giudei o pagani, indifferenti o non credenti. Amare l’altro nella sua irriducibile alterità, al di fuori di ogni logica di reciprocità, che richiede il contraccambio e il riconoscimento reciproco dei diritti. Spetta dunque al cristiano vincere la paura del diverso, avere il coraggio di opporre il bene al male, assumere un comportamento pieno di amore gratuito verso i nemici, chiedere a Dio il bene, la felicità, la vita dell’aggressore. David Flusser, un grande studioso ebreo che pure era affascinato e in attento ascolto di Gesù, diceva che questo suo comando era l’unico che non poteva trovare realizzazione, ma era destinato a restare utopia. Eppure la storia testimonia di discepoli e discepole che, come Stefano, il primo martire cristiano, hanno vissuto questo comando fino alla morte, invocando il perdono (cf. At 7,60), come Gesù aveva fatto sulla croce (cf. Lc 23,34).

 

Chi pratica questo comandamento di Gesù sperimenta il compimento della promessa di “essere figlio del Padre che è nei cieli”, il quale ama tutti di un amore che non va meritato e che non dipende dall’essere buoni o malvagi, giusti o ingiusti. Così si può essere téleioi, completi, nella pienezza dell’amore, come “Dio è amore” (1Gv 4,8.16). Se nella Torah il comando era: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2; cf. 1Pt 1,16), nelle parole di Gesù esso è interpretato come “Siate perfetti, capaci di una giustizia superiore, come Dio, il Padre”. E significativamente in Luca diventerà: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36), come già interpretava la parafrasi aramaica del Targum (su Lv 22,28): “Dice il Signore: ‘Come io sono misericordioso nei cieli, così voi sarete misericordiosi sulla terra”.


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In questa settima domenica del tempo ordinario, alle soglie della Quaresima, il Vangelo proietta una scandalosa aurora sugli occhi dei cristiani, uno scorcio di quel “non ancora” che illumina e provoca il “già” di chi ascolta. Chi è venuto a dare compimento alle parole di Mosè le sta, via via, rendendo perfette liberandole dai limiti che la paura ha sinora imposto loro e adesso, in quest’ultimo commento, sembra giungere quasi stravolgerle. “Avete udito che fu detto: «Occhio per occhio e dente per dente»”: seguendo l’ordine in cui i precetti e divieti della Legge vengono elencati nel libro dell’Esodo, dopo il Decalogo, Gesù va a interpretare il cosiddetto “codice dell’Alleanza” dove si trova la legge del taglione (cf. Es 21,24). Legge, che dai vari membri del corpo, verrà estesa all’intera vita, nel Deuteronomio: “Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente” (19,21). In realtà viene ad esservi stabilita una giustizia retributiva ben superiore a quella sproporzionata che la precedeva: la legge di Lamec, figlio di Caino. In essa, infatti, era detto: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette” (Gen 4,23-24). Un’asimmetria che ci ricorda qualcosa di molto più recente rispetto ai tempi del Caino biblico, quando la morte di un tedesco valeva la vendetta della morte di dieci italiani. La Legge del Sinai dimostra di essere madre di una più alta civiltà quando stabilisce che ogni vita vale come l’altra, sia quella del re sia quella del cittadino comune, sia quella del povero sia quella del ricco, conferendo alla vita un valore assoluto. Ma due sono i limiti su cui Gesù va a intervenire: il primo è quello che ivi si intenda la vita del fratello ebreo e non di tutti gli umani al mondo; ancorché non manchino delle attenzioni per la vita del “nemico”, infatti, quella che viene protetta con la comminazione della vendetta è la vita del fratello, del figlio di Abramo circonciso. Non per nulla Gesù prosegue dicendo: “Avete inteso che fu detto: «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico»”. Il prossimo è quello che fa parte della tua famiglia, della tua etnia, della tua “nazione” – oggi qualcuno direbbe! – mentre nel “nemico” ci sono tutti gli altri: gli stranieri, i pagani, quelli che sono fuori dal “muro” della tua appartenenza. Qualcosa che viene spontaneo paragonare a tanti consigli che sentiamo dare oggi in Europa: stabiliamo un confine tra noi e i migranti, i profughi, i mussulmani, tutti coloro che premono alle porte – immaginarie – ed erette proprio dal limes escludente della legge. Il secondo limite sta nel fatto che la vendetta tradisce la ragione stessa per cui Dio donò la Legge ad Israele: perché avesse la vita! La vendetta non riesce infatti che ad accumulare morte su morte. Ed è per questo che, sin dalle pagine del libro dell’Esodo, poco dopo che vi leggiamo sulla legge del taglione vediamo che Dio stesso si trova a trasgredirla! Verso quel popolo che alle pendici del monte Sinai, infatti, avrebbe meritato la morte perché s’era fabbricato un vitello d’oro per adorarlo, Dio rinunciò alla vendetta e si fece per loro pura misericordia. Quel popolo che da alleato era divenuto un nemico del suo Dio fu trattato da Lui come un figlio adorato! Cui si perdona perché possa vivere e mutare il suo cuore e capire che l’unica “giustizia” che genera vita è la grazia dell’amore, è la fraternità universale, è la riconciliazione offerta incondizionatamente, che abbatte il muro fra amici e nemici. Di questa “giustizia” di Dio – “che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” – Gesù riconosce la radice nell’antica legge di Mosè e cerca di spiegarla a chi, pur sapendola a memoria, sembra non averla ben compresa. Qualcosa che rispecchia l’ignoranza anche di molti tra noi cristiani che ancora si scandalizzano del porgi l’altra guancia, che non vedono ancora altra soluzione che quella armata a chi fa la guerra. “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Chi si dice cristiano non può rinunciare a quell’unica, originaria “differenza” che Tertulliano già riconosceva: “Amare gli amici lo fanno tutti, i nemici li amano soltanto i cristiani” (Ad Scapulam 1,3). “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? (…) Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. (Agensir)
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