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Alessandro D’Avenia «Di punto in bianco»

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15 dicembre 2025


Il Pantone Color Institute ha scelto per il 2026 un colore paradossale: il bianco.

Per identificarlo lo ha infatti dovuto rappresentare con una donna che danza tra le nubi: «Cloud Dancer». Non quindi un bianco sparato, ma una tonalità ariosa e pacifica come le nubi dei giorni sereni, che invoca calma in una vita maltrattata da un eccesso di stimoli, paure, rumori, fretta... È ora di dare «una mano di bianco» a quest'anima nostra così usurata. Il bianco inaugura, viene prima del colore, come la biacca sulle tele dei pittori. È indossato da chi ha, almeno negli intenti, purezza e virtù: papi, spose, medici, neonati, cuochi, tennisti (a Wimbledon), defunti (in Oriente) e, nell'antica Roma, ragazzi tra 14 e 18 anni e politici in campagna elettorale, «candidato» era infatti chi indossava una veste bianca (candida) in segno di onestà. 


Un rumore si dice bianco perché contiene tutte le frequenze, smorza gli altri rumori e calma anima e corpo. Sul ponte purtroppo non sventola la bandiera bianca, in compenso prenotiamo le settimane bianche. Notti e balene se sono bianche diventano memorabili. Diciamo bianco il vino che in realtà non lo è, ma il rosso e il bianco, sangue e latte, sono i colori della vita e per questo i primi a esser nominati in quasi tutte le culture. Mettere nero su bianco è chiarezza, avere carta bianca è libertà. E bianco è il Natale anche perché la luce torna a prevalere sul buio. Bianco viene infatti da una radice antica per «splendore». E noi, splendiamo? 


Bianca è la luce dei fotoni che in 8 minuti dal Sole incontra le cose terrestri, colorandosi delle frequenze che ciascuna riflette (il colore di una cosa è proprio quello che essa restituisce alla luce, una specie di grazie che ognuna pronuncia apparendo), quindi un oggetto è bianco quando riflette quasi tutta la luce che lo investe, non trattiene nulla, come le nubi, la neve, il latte, i cigni, le ninfee e la Luna che infatti catturano artisti e bambini. L'esperienza del bianco è esperienza radicale, del venire alla luce e quindi del venire alla vita. 


Qualche giorno fa mentre passeggiavo in una tersa notte stellata stesa su maestose montagne innevate, la Luna, che gli antichi chiamavano Selene, cioè la Splendente, piena per l'ultima volta nell'anno, faceva brillare la neve in un crescendo di quel bianco che per Kandinsky colpisce gli uomini come un grande assoluto. Nel cielo danzava in bianca coreografia anche Orione, costellazione invernale, visibile da quasi ogni punto della Terra e nota, con miti diversi, a quasi tutti i popoli della Storia. Per i Greci antichi era il coraggioso Cacciatore che sfida il Toro o lo Scorpione, costellazioni a cui contende la volta celeste. 


Sotto un cielo così è difficile avere pensieri cattivi, e forse per questo le città di notte sono spesso malvagie o tristi, perché ci rubano il bianco di Luna e stelle, bianco che risveglia in noi il desiderio (distanza de- dalle stelle -sidera) di vita, spazio vuoto che chiede pienezza, mancanza non assenza. Lo sapeva il presidente della Repubblica Ceca, Václav Havel, che nel 2002 firmò una legge per proteggere il cielo stellato, imponendo limiti alla luce artificiale emessa verso l'alto. 

Per Havel, che era un artista, la politica era un potenziamento della libertà dei cittadini, e quindi della loro ricerca di senso che sempre comincia dalla bellezza: senza cielo stellato è impossibile avere un'anima, sentire la gratuità della vita, come il giovane Werther di Goethe che tentenna di fronte al suicidio perché non vuole perdere lo spettacolo delle stelle. 


«Fill in the blanks» (riempi gli spazi) mi chiedevano gli esercizi scolastici d'inglese, e in quella lingua infatti la radice di «bianco» ha dato la parola «blank», un vuoto da riempire. Bianco è lo spazio in cui la vita chiede compiutezza, attesa di colori. L'esperienza del bianco è questa: io non mi basto, e non bastarsi è l'origine di ogni ricerca e quindi di ogni compimento, difficile da accettare in una cultura del «pienessere», dal tempo (ri-)pieno di bambini derubati dell'immaginazione che cresce solo nel vuoto, all'ego di adulti pieni di sé e quindi vuoti d'amore. 


Chi è pieno non crea altra vita, la consuma o si consuma. Un paradosso che Cristo delinea in una di quelle sue pazze definizioni di felicità: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati», perché può essere felice solo chi cerca la verità (giustizia ne è sinonimo nella lingua evangelica) e trasforma il desiderio in azione creativa. Crea chi sa stare nel vuoto, nel bianco, come lo scrittore nella pagina, il pittore nella tela, il musico nel silenzio, l'innamorato nella distanza, lo scienziato nell'ignoto, l'uomo nella preghiera... La vita è già in noi, come lo sono i colori nella luce, ma come i colori emergono quando la luce incontra un limite, così la vita si colora grazie ai nostri limiti, intesi come ciò che ci rende unici. 


L'odierna fortuna dell'armocromia tradisce un profondo bisogno spirituale: rivogliamo i nostri colori in un quotidiano spesso grigio e uniforme in cui non c'è spazio per diventare chi siamo ma solo chi ci dicono o obbligano ad essere. 


Il bianco ce lo chiede con la sua luce: «Ricomincia, prepara i colori». È il colore del desiderio, che è quella inesauribile mancanza che ci rende incapaci di accontentarci di niente che non sia «per sempre», cioè infinito, e ci spinge quindi a cercare e creare sempre il nuovo: «ancora» è l'avverbio del desiderio. 


Desideriamo senza poter esaurire il desiderio, perché il desiderio non è di qualcosa di preciso, perché è l'energia stessa che ci rende vivi, ci spinge a mettere vita nella vita, a diventare vivi. 

Agostino per questo diceva che vivere è esercizio del desiderio: «C’è una preghiera interiore che non conosce interruzione, ed è il desiderio. Se non vuoi interrompere la preghiera, non smettere mai di desiderare. Continuo è il tuo desiderio, e continua sarà la tua voce... non sempre esso giunge alle orecchie degli uomini, ma non resta mai lontano dalle orecchie di Dio». 


Perché il bianco del 2026 non resti una metafora, una trovata pubblicitaria, un colore da indossare e basta, usiamolo come colore dell'anima. Il Natale è allora l'occasione per riscoprire che cosa ci impedisce di venire alla luce e quindi alla vita, per questo è bianco, non per la neve e le luci artificiali, che sono solo metafore mondane della verità, ma perché illumina, anche con dolore, gli angoli bui della nostra vita: disamore, paure, fallimenti, tristezze, rabbia, fatiche, inquietudine, ferite, tradimenti, delusioni... Ma è proprio grazie a questo buio che può brillare la vita che noi da soli non ci siamo dati e non possiamo darci, ed è questa Vita che è luce invincibile che festeggiamo: «In lui è la vita e la vita è la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno vinta» (Gv 1).


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