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Silvano Petrosino "Quelli che nominano Dio invano"

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Sembrerebbe che Trump abbia intravisto nello scampato attentato poco prima dell’elezione a Presidente degli Stati Uniti l’intervento diretto di Dio;
è invece certo che dopo questa elezione egli abbia esplicitamente affermato che è proprio Dio ad essere intervenuto per confermalo nel compito ch’egli si è sempre attribuito: rendere ancora grande l’America. A coloro che vedono la presenza di Dio o sentono la sua voce conviene consigliare cautela e in alcuni casi la visita da uno specialista; diverso è il caso di coloro che da una posizione di potere non esitano a comunicare a tutti gli altri che Dio è con loro, è dalla loro parte, e di conseguenza, implicitamente, contro la parte avversa. Qui la supposta presenza di Dio è messa al servizio, più correttamente è asservita, a un potere che, non facendo più sorridere, si rivela come un’inquietante minaccia; in effetti, non è l’ingenua e inoffensiva fanciulla o l’umile contadino a raccontare di aver incontrato la Signora splendente di luce in un bosco o in una grotta, ma è il potente Presidente degli Stati Uniti a dichiarare che Dio, salvandolo, ha confermato il suo disegno – quello di Trump e non di Dio; più precisamente: quello che Trump è convinto coincida con il disegno di Dio – sollecitandolo così ad andare avanti senza esitazioni.

Nulla di nuovo, purtroppo. Il pettegolezzo più diffuso all’interno della storia umana è quello riguardante Dio, la sua parola, il suo volere. C’è stato sempre qualcuno che si è autorizzato ad essere il rappresentante della volontà di Dio, che si è auto-proclamato il suo più fedele portavoce: Dio è certamente il nome di un mistero, ma fin dal principio c’è stato chi, senza timore e soprattutto senza vergogna, non ha esitato un istante a dichiarare di conoscere il segreto di un simile mistero. Satana, ad esempio, il quale, per convincere Eva nel giardino dell’Eden, millanta di conoscere Dio e di sapere la ragione più profonda di quel divieto: Egli, così sostiene il serpente, è geloso del suo essere Dio, ragione per cui ha posto un limite all’essere dell’uomo. All’interno di questa interpretazione diabolica il divieto di non mangiare dell’albero del bene e del male finisce per configurarsi come il sintomo della stessa paura di Dio il quale, narcisisticamente preoccupato di difendere sé stesso e il proprio primato, rivelerebbe una sorta di radicale incertezza sulla propria identità.

Eppure, per limitarsi al Dio della cultura di riferimento di Trump, anche solo una conoscenza superficiale, perfino superficialissima, delle Sacre Scritture, del logos ch’esse articolano e non si stancano di proporre, avrebbe dovuto impedire al Neopresidente americano di lasciarsi travolgere dal proprio entusiasmo. Il Dio biblico, infatti, è certamente un Dio presente, che non teme di contaminarsi con la storia umana, che parla agli uomini e stabilisce con loro un’alleanza concreta e stringente, ma al tempo stesso è anche un Dio che mantiene le distanze e soprattutto chiede con insistenza di mantenerle, è un Dio che proclama con fermezza la propria differenza e si sottrae ad ogni presa, che non si lascia possedere e tantomeno vuole possedere: «Insomma, anche in seguito alla berit, al patto, con Abramo e Mosè Jhwh diventa il Dio di un gruppo sociale, tuttavia non risiede nel gruppo ma gli vuole restare esterno, imprendibile, Il secondo comandamento vieta l’uso superstizioso del nome di Dio. Dio non è un oggetto che si possa acquisire o dominare animisticamente o magicamente […] il Dio d’Israele non è accessibile alla Parola né allo sguardo […] è presente, ma non si mostra né si nomina. È un Dio nascosto (Is 8, 17 e 45, 15) e misterioso» (C. Galli, In nome di Dio, in C. Galli-P. Stefani, I comandamenti. Non nominare il nome di Dio invano, il Mulino 2011). E anche quando in Es 3, 14, rispondendo a Mosè dal roveto ardente, questo Dio afferma di essere ‘Ehjeh ‘asher ‘ehjeh, «io sarò quello che sarò», «io sono chi sono», bisogna riconoscere che «Nessuna traduzione potrà mai rendere adeguatamente la polisemia di questa frase. Essa induce a pensare che questo Dio ha a che fare con l’essere con il “far essere” e con un presente in divenire, ma anche con l’indicibile di un mistero nel quale inciampa e s’incaglia il linguaggio umano: dire, ma per dire che non si può dire. Resta comunque il fatto che Dio si dà un nome, YHWH. Ma questo nome è un puro significante. Non rinviando ad alcuna nozione nota, si sottrae a chiunque volesse cogliere il suo significato» (A. Wénin, Dio, il diavolo e gli idoli, EDB 2016).

Difficile? Forse. Proviamo a ridirlo con altre parole: fa pure quello che pensi, porta pure avanti i tuoi progetti ma non tirarmi in ballo, sei un essere libero e intelligente e non hai bisogno di coinvolgermi in ogni tua azione, a meno che attraverso un simile tentativo, quasi fosse un sintomo, tu non voglia in verità, giocando d’anticipo, coprire qualche tua colpa futura e pre-giustificare così l’ingiustificabile. Saranno gli effetti delle tue azioni a giudicare queste stesse azioni; lasciami dunque fuori, io non c’entro, non dire che farai ciò che farai in nome mio: «Il secondo comandamento vieta il falso giuramento, di chiamare Dio a testimone di una bestemmia e di una menzogna; insomma, di usare il nome di Dio contro la verità di Dio. Questa sottrazione di Dio alla parola umana è radicalizzata quando Cristo, nel Discorso della Montagna (Mt, 33-37) afferma “fu detto agli antichi ‘non spergiurare’; ma io vi dico, ‘non giurate affatto; sia invece il vostro parlare ‘sì sì, no no’ invitando perentoriamente gli uomini ad assumersi la responsabilità personale delle affermazioni e delle negazioni del vero e del falso, a non coinvolgere Dio in giuramenti; il nome di Dio non è utilizzabile» (C Galli, cit.).

Solo una colpevole ignoranza e/o una cieca arroganza può impedire di comprendere il senso che si cela nell’intreccio di parole che Dio rivolge a Mosè dal roveto ardente: «Non avvicinarti!» (Es, 3,5) ma al tempo stesso, sorprendente differenza non indifferente, «Io sarò con te» (Es, 3,12). Come si diceva, purtroppo lo si è sempre saputo: coloro che non esitano a utilizzare il nome di Dio spesso non servono né Dio né gli uomini ma si servono di Dio proprio per dominare gli uomini; purtroppo, lo si è sempre saputo: coloro che nominano il nome di Dio invano spesso non si comportano e non si comporteranno affatto bene.



Silvano Petrosino (Milano 1955), studioso di filosofia contemporanea, si è occupato prevalentemente dell’opera di M. Heidegger, E. Lévinas e J. Derrida. 
Oggetto dei suoi studi sono la natura del segno, il rapporto tra razionalità e moralità, l’analisi della struttura dell’esperienza con particolare attenzione al rapporto tra la parola e l’immagine. 
Insegna Filosofia della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano. 
Il suo ultimo libro, pubblicato da Vita e Pensiero, è "Piccola metafisica della luce".

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