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Rosanna Virgili "Gezabele, la cananea esaltata dal potere"

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5 Marzo 2024


Il campionario femminile biblico non manca di nessun tipo di donna. Vi troviamo anche il modello della donna assetata di potere, cinica, priva di umana compassione sia nelle parole sia nelle decisioni. Tra loro una molto famosa è Gezabele, sposa di Acab, re di Israele. Tale è la sua forza che suo marito sembra spesso un bamboccio il cui burattinaio – che non sta neppure troppo dietro le quinte – è proprio lei, la regina cananea. Non a torto molti esegeti ne accostano la figura a quella di Eva che senza fatica offerse e convinse suo marito a mangiare del frutto proibito in Paradiso. Con tutte le conseguenze del caso!

Un giorno l’ebreo Acab, che regnava in Samaria, si incapricciò di fronte ad una vigna che vedeva vicino al suo palazzo, sotto le sue finestre, e disse: ne voglio fare un orto! I re di Israele avevano certamente la loro parte di terra in godimento oltre ad avere il compito di far osservare la legge anche rispetto all’uso della terra, da parte di tutti i cittadini. L’orto a cui lui ambiva era davvero l’oggetto di un capriccio, di quel desiderio di superfluo che spesso morde l’animo dei potenti per dimostrare a sé stessi e al mondo come tutto sia a loro disposizione. 

Chi aveva, infatti, quella vigna neppure volendo avrebbe potuto alienarla. Poiché in Israele, nella terra promessa, Dio che era il vero, unico titolare di tutto, aveva voluto che ogni tribù avesse la sua parte che non poteva essere venduta né perduta per sempre. Ogni israelita era usufruttuario della terra e non padrone! Fedele al volere di Dio, il povero Nabot non volle vendere neppure per una cifra vantaggiosa la sua vigna al re. È allora che, mentre Acab se ne stava a letto rifiutandosi persino di mangiare – come fanno i bambini quando non riescono a spuntarla -, la moglie va da lui e gli dice: «Tu eserciti così la potestà regale su Israele? Àlzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreèl! (1Re 21,7)». 

Gezabele ha un’idea di governante come di chi possa abusare dell’istituzione monarchica, utilizzando la stessa per dominare il popolo a suo proprio interesse. Ella manovra, allora, il re portandolo a sollevare accuse false contro il giusto Nabot e a condannarlo, con un processo pilotato, a una morte indegna. L’impassibile, violenta, arrogante regina cananea riusciva a intimorire persino il profeta Elia. Un profeta che non temette null’altro se non la persecuzione di Gezabele, pronta a dire menzogne, a commettere qualsiasi delitto pur di azzittire la voce che veniva da Dio, la sua parola di sapienza, giustizia e verità. 

Elia, che non aveva temuto il conflitto con le centinaia di profeti mandati da Gezabele, ebbe paura, però, di lei, del suo cuore duro, al punto che scappò sul monte Oreb chiedendo a Dio di farlo morire. Tanto l’uomo di Dio dovette temere la malvagia determinazione di questa donna! Ma questo modello che oggi sarebbe, forse, ammirato e celebrato da molti, non godeva che di disprezzo al suo tempo almeno secondo la Scrittura. 

Il lungo racconto di Gezabele finisce, infatti, con la sconfitta di questa regina esaltata dal potere, che si mostrava più cattiva, più “virile” di suo marito, il re di Samaria. Sarà per prima la storia a giudicarla, quella del suo stesso Paese che lei depredava mentre Elia, il profeta perseguitato, nutriva restituendogli la pioggia e, quindi, la pace e il benessere economico. E lei che aveva abbandonato ai cani il cadavere del povero Nabot finì per essere divorata dai cani «nel campo di Izreèl» (1Re 21,23).


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