Rosanna Virgili "Le scelte di Rebecca e il prezzo del dolore"
Tra le donne che compaiono nella Bibbia, un ruolo di primo piano rivestono le cosiddette “matriarche” dalle quali discendono i figli di Israele. Meno famosa, forse, di Sara e Rachele – mogli di Abramo e Giacobbe – ma non meno interessante e importante, è Rebecca, moglie di Isacco e madre di due gemelli: Esaù e Giacobbe.
Quando appare sulla scena Rebecca è una ragazza che fa grande simpatia perché si mostra libera e generosa nei confronti di uno straniero, un pellegrino sconosciuto e assetato che cercava acqua per sé e per i suoi cammelli. «La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei. Ella scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: “Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora”. Rispose: “Bevi, mio signore”. In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere. Come ebbe finito di dargli da bere, disse: “Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché non avranno finito di bere”. In fretta vuotò l’anfora nell’abbeveratoio, corse di nuovo ad attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui. Intanto quell’uomo la contemplava in silenzio, in attesa di sapere se il Signore avesse o no concesso buon esito al suo viaggio» (Gen 24,16-21).
Rebecca non sapeva che quell’uomo non fosse capitato lì per caso ma che fosse il servo di Abramo venuto per cercare una moglie per Isacco, il figlio del suo padrone, tra la sua parentela. Ella era, infatti, la nipote di Nacor, fratello di Abramo. La scena è molto simile a quella dell’incontro di Gesù con la Samaritana: anche quello avviene ad un pozzo e anche Gesù chiede da bere alla donna; c’è di diverso che la Samaritana non lo esaudisce mentre Rebecca disseta con gentilezza questo forestiero (cf. Gv 4,5ss.).
Un fatto molto particolare e unico, nelle storie delle matriarche, è proprio la libertà dei gesti di Rebecca che si mostrerà specialmente al momento in cui dovrà scegliere se, seguendo l’uomo incontrato al pozzo, vorrà andare in sposa ad Isacco o se dire di no. In una società patriarcale com’era quella del tempo, erano i padri che decidevano per i mariti delle proprie figlie; non così per Rebecca di cui si racconta che tutti gli uomini di casa dissero: «”Chiamiamo la giovinetta e domandiamo a lei stessa”. Chiamarono dunque Rebecca e le dissero: “Vuoi partire con quest’uomo?”. Ella rispose: “Sì”. Allora essi lasciarono partire la loro sorella Rebecca con la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini» (Gen 24,57-59).
Un caso davvero straordinario che rompe gli schemi tradizionali di una cultura androcentrica. Dopo aver deciso circa il proprio consorte, Rebecca decise anche il destino dei suoi figli. Ella fu madre, infatti, di due gemelli i quali ancor prima di venire alla luce «si urtavano nel suo seno» (Gen 25,22). Purtroppo Rebecca, una volta che furono fanciulli, assecondò la loro inimicizia con la simpatia per il più piccolo: «I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende. Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe» (Gen 25,27-28).
La simpatia della madre ebbe la meglio su quella del padre al momento in cui questi – divenuto cieco e anziano – doveva lasciare la sua eredità al primogenito Esaù. Allora Rebecca ordì un inganno perfetto ai danni di suo marito: «Prese i vestiti più belli del figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo» (Gen 27,15-16), fu così che Giacobbe poté fingersi suo fratello Esaù e carpire a suo padre Isacco l’unica benedizione. Chissà se la madre avrebbe immaginato il prezzo di dolore e di odio che avrebbe fatto pagare ai suoi figli preferendone uno all’altro. Chissà se Rebecca, il cui nome significa “quella che unisce”, poteva immaginare che quell’odio non si sarebbe spento per secoli.
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