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Il dono di Michela Murgia: “Diamoci la vita”

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Dal 9 gennaio, il libro a cui la scrittrice ha lavorato fino a poco prima di morire. Un’appassionata indagine sui molti modi di venire al mondo, superando i vincoli di sangue


Mia nonna ricamava, mia zia ricamava, a Cabras ricamare era una competenza molto richiesta e prima che nascessi le donne della mia famiglia mi avevano approntato il corredo: avevo calzine per dieci infanzie e lenzuola bastanti per rivestire le camere per tre matrimoni. Qualcuna di queste solerti tessitrici della mia genealogia mi ha mai chiesto se era quello che avrei voluto? Ovviamente no e infatti non avrei saputo rispondere, sebbene poi nella vita abbia dimostrato con i fatti che le lenzuola ricamate hanno preso da me soltanto le più squallide “macchie di cassetto”, il micidiale giallastro che attacca senza pietà lini e cotoni che non vedono mai la luce fuori dalle cassepanche. A chi dice di voler agire nell’interesse dei “bambini” (da immaginare detto con tono drammatico, un po angosciato) quando vuole regolare i modi in cui si fa famiglia, in realtà di loro se ne frega. Certo che ai figli si cerca di dare il meglio, ma chi decide cosa è questo meglio? Il primo a dirti che «il meglio è nemico del bene» è proprio il famoso buon senso con cui la destra, la tradizione e il patriarcato vorrebbero impedirci di ripensare a soluzioni alternative per fare famiglia.

Negli anni in cui ho seguito il dibattito sulla gestazione per altrə, che si è intrecciato con la mia riflessione sulla famiglia, è rimasto chiaro che l’opinione conservatrice è semplice: se la scelgono un maschio e una femmina, la generazione logica non fa quasi notizia, in tutti gli altri casi sì. Per ogni dieci coppie che ricorrono a gestanti surrogate, a oggi sette sono eterosessuali e solo tre no. Ma sono quelle tre, evidentemente, a continuare a destare ansia nel dibattito, come leggo stamattina stessa (7 agosto 2023) sui giornali. È questo l’effetto dell’imprinting binario: l’atto del generare, anche se non passa per il seme di lui né per l’utero di lei, deve almeno partire da un’intenzione binaria, di coppia “lui e lei”, per il presunto bene dei bambini.

Ogni volta che esponenti del dibattito di estrema destra tirano fuori retoricamente l’argomento della salute psichica e relazionale dellə bambinə coinvoltə nelle gestazioni per altrə è per me evidente che sia un tema pretestuoso, dove la questione della volontà o dell’eventuale felicità dellə bambinə non ha alcun peso. La nascita biologica è programmata molto meno della nascita logica, che sia quella tarda ed elettiva di un figlio d’anima o quella neonatale e uterina di una figlia concepita attraverso una gravidanza surrogata. È un venire al mondo quindi, quello che chiamano “naturale”, tendenzialmente anche meno protetto, desiderato e strutturato. La nascita biologica, due terzi delle volte, è un evento che oscilla tra la casualità e la irresponsabilità. E grazie al cielo! Se così non fosse l’umanità si sarebbe estinta centinaia di anni fa, perché le circostanze desiderate o desiderabili che si dovrebbero creare, se davvero mettessimo al centro soltanto gli interessi di chi nasce, sarebbero tante e tali che la loro improbabilità è fuori discussione. Biologicamente si nasce soprattutto per caso, o comunque rispondendo a contingenze su cui il controllo è spesso limitato.

Lə figliə più tutelatə, agli occhi dello Stato, dovrebbe essere semmai quellə più desideratə e pianificatə, quellə fortemente volutə per lə quale si sono organizzate tutte le condizioni migliori affinché possa venire al mondo con la consapevolezza di essere statə preparatə e immaginatə profondamente; addirittura molto pagatə, nel caso della gestazione per altrə – cosa che personal-mente, se fosse capitata a me, mi farebbe sentire assai orgogliosa.

Pagatə non di rado con debiti, in realtà. Perché la gestazione per altrə viene costantemente associata alla condizione di ricchezza dei genitori intenzionali, ma oggi che sono in intimità con alcuni di loro posso dire che spesso l’intenzione che nutrono, il loro desiderio e la loro volontà, sono ben più grandi delle risorse economiche che comunque investono.

Ora, nessuno può negare che per ottenere una gravidanza surrogata, con tutti i diritti garantiti per la gestante e in condizioni etiche degne, ci vogliano somme ingenti. Nel momento in cui scrivo (l’agosto del 2023) le cifre sono nell’ordine di (e lo so per esperienza) almeno centocinquantamila, se non duecentomila euro, e anche di più. Non vorrei però si dimenticasse che anche un’adozione internazionale comune e persino le adozioni nazionali richiedono una disponibilità di cifre che nessun operaio di catena potrebbe comunque permettersi, ammesso e non concesso che la generazione biologica sia comunque così meno costosa. Se ce lo si potesse permettere diffusamente, la classe media almeno di figliə biologicə ne farebbe, e non ci si straccerebbe le vesti con la retorica nazionalista della decrescita e di una presunta “emergenza natalità”.

Ormai anche le famiglie povere generano pochə figliə, quando ne generano, non potendo permettersi neanche quellə biologicə, mentre la povertà un tempo si associava alla condizione di proletariato, cioè a quella di avere come unico capitale solo ciò che viene generato dalla propria stessa carne. Il valore della prole è dipeso per generazioni dal fatto che le braccia per l’agricoltura e per il lavoro in fabbrica o in miniera fossero una risorsa economica accessibile per via riproduttiva. Ora che i braccianti li sfruttiamo e li facciamo morire sotto il sole dei nostri campi come animali da soma senza neanche seppellirli, ora che ne commissioniamo da casa il lavoro massacrante di consegna su biciclette e motorini per compensi irricevibili, ora che ordiniamo i loro servizi da app senza neanche guardarli in faccia e neghiamo loro non dico il salario minimo, ma persino l’acqua pubblica di un cimitero (succede a Ventimiglia mentre scrivo queste righe), abbiamo capito che non c’è bisogno di fare figliə nostrə per avere manodopera a basso costo. Basta rendere schiavə e sottomessə lə figliə degli altri, un proletariato surrogato popolato da coloro che abbiamo per anni disegnato come bestie, parassiti, passeggeri di “taxi del mare”, preparando il terreno per l’assurda convinzione che siano venuti qui per rubarci il lavoro, come se quel lavoro l’avessimo mai voluto fare. © 2024 Rizzoli. Pubblicato in accordo con S&P Literary – Agenzia Letteraria Sosia & Pistoia


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