Rosanna Virgili "Rut e Noemi, libere da chiusure e muri identitari"
Delle tre donne cui sono intitolati tre libri dell’Antico Testamento, secondo il canone cattolico, Rut è l’unica non ebrea. Sia Ester sia Giuditta sono infatti donne che appartengono al popolo di Israele mentre Rut è una moabita, una straniera insomma. Il piccolo libro che da lei prende il nome è, in verità, un breve racconto dal contenuto quasi fiabesco ma dal messaggio fortemente politico e teologico. La sua dirompenza coinvolge la figura delle donne e l’assunzione da parte loro di un ruolo “apicale” – come si direbbe oggi – circa il destino del popolo di Giuda.
Il primo grande segreto del successo di Rut sta nella sua intelligenza: non avrebbe mai potuto procurarsi un futuro da sola. Pensò così di unire il suo cammino esistenziale a quello di un’altra donna, anche lei sicura di non potersi salvare da sola, vecchia e priva di marito e di figli com’era, e trovandosi, peraltro, in terra straniera. A quel tempo Israele non aveva ancora un re e a occuparsi del popolo c’erano i giudici; continue e insistenti erano le guerre con i nemici cananei e filistei che cercavano di resistere all’espansione degli israeliti. Alle guerre si aggiungevano le carestie dovute alle stagioni di siccità che non mancavano nell’antica regione che i Romani chiamarono, in seguito, Palestina.
In una di quelle stagioni sfortunate Noemi, originaria di Betlemme, emigrò in Moab – il territorio dell’attuale Giordania – insieme a suo marito e ai suoi due figli che avevano anche preso mogli dai moabiti. Dopo dieci anni, disgraziatamente, tutti gli uomini della famiglia morirono e Noemi si ritrovò vedova e sola e con due nuore vedove a loro volta. Affamate, senza mariti e senza figli, non si prospettava nessun futuro per loro.
Allora «Noemi disse alle due nuore: “Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare tranquillità in casa di un marito”» (Rt 1,8-9). Noemi rinuncia al diritto che la famiglia del marito manteneva sulle mogli anche quando questi ultimi erano morti, non è una suocera egoista e non pretende di essere servita dalle sue nuore, non vuole che queste, insomma, sacrifichino la loro felicità restando sottomesse alla suocera.
Noemi scardina l’ordine patriarcale della società del tempo. Ciò che conta per lei è che le due nuore possano riprendersi la loro vita e trovare un altro marito nel loro Paese. Ma una delle due non volle darle ascolto e dovette stupire la vecchia suocera quando rispose: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e altro ancora, se altra cosa, che non sia la morte, mi separerà da te” (Rt 1,16-17).
Vedendo che era decisa ad andare con lei, Noemi non insistette più e le due donne, unione di due fragilità, diventarono così decise da intraprendere un altro viaggio, una nuova emigrazione, questa volta da Moab a Giuda, verso la città da dove – molti anni prima – era partita l’anziana Noemi. Giunsero a Betlemme e qui si invertirono le posizioni rispetto ai dieci anni precedenti: ora toccava a Rut essere la straniera e a Noemi essere l’oriunda.
Quel che contò fu la loro sororità, quella loro alleanza, quella loro sapienza che le aveva portate a capire che solo condividendo il bisogno di ciascuna avrebbero avuto ricchezza per tutti. Per il popolo di Betlemme e di Moab, di Israele e di Canaan unito e amato da un unico Dio. Divenute libere da chiusure e muri identitari, Noemi e Rut restituirono a tutto il Paese un futuro di fraternità e di pace. Che siano esempio e luce per le donne ebree e palestinesi, musulmane e cristiane, bianche e nere, perché si facciano sorelle e alleate per salvare il futuro della terra, dei poveri e dei bambini.
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