Enzo Bianchi "Il dono dell’icona tra guerra e pace"
3 luglio 2023
di ENZO BIANCHI
per gentile concessione dell’autore.
Sappiamo, e lo sappiamo per esperienza storica, che quando tra potere politico e religione vige un
concordato o addirittura una sudditanza dell’uno all’altro soggetto sociale, sovente avviene uno
scambio di doni, o meglio di favori. È chiaro che in questo caso i doni anche più preziosi sono un
inganno. Nella storia della Russia si può dire che quasi sempre i due poteri hanno avuto bisogno
l’uno dell’altro, anche se ci sono stati periodi di persecuzione della Chiesa da parte dello Stato,
come durante la cattività comunista dalla rivoluzione di ottobre fino all’implosione dell’Unione
Sovietica con la conseguente caduta dell’ideologia atea. Ma non bisogna dimenticare che anche in
quell’ora di persecuzione, quando nel 1942 lo Stato era profondamente minacciato a causa della
guerra, il dittatore Stalin sentì il bisogno di restituire le chiese confiscate e riaprire i monasteri
chiusi guadagnandosi così il favore della chiesa ortodossa. Anche oggi Putin, in difficoltà sente il
bisogno di trovare consenso e approvazione presso i cristiani ortodossi delle sterminate terre russe e
fa un gesto sempre desiderato dalla Chiesa: il dono dell’icona della Santa Trinità di Andrej Rublev,
dono che il Patriarca Kirill accetta con un ringraziamento che è conferma dell’appoggio e
dell’approvazione finora data al governo di Putin.
Da quando è al potere Putin si professa ortodosso e si è mostrato una sorta di nuovo Carlo Magno,
protettore della chiesa, finanziando la costruzione di molti edifici ecclesiali, dove la chiesa
ortodossa è presente.
Certo si può essere scandalizzati di fronte a uno scambio di questo genere, giudicato da noi
occidentali perverso, come fa Tomaso Montanari, ma per i credenti ortodossi questo giudizio non ha
ragion d’essere a fronte di quello che è ritenuto un diritto e una grande grazia. Infatti l’icona della
Trinità, dipinta dal santo monaco Rublev intorno al 1422 per il Monastero della Trinità, la Lavra
fondata da san Sergio di Radonež, è “l’icona delle icone”, un’apocalisse, una rivelazione della
bellezza di Dio, un’esegesi del mistero grande e profondo della Tri-unità di Dio, cerchio di relazioni
dell’Amore e fonte di ogni amore. Per gli ortodossi e per tutti i credenti l’evento straordinario è il
suo ritorno a essere icona per il culto e non solo oggetto museale, opera d’arte come finora alla
Galleria Tret’jakov. Ci sono rischi nel trasporto di un’opera d’arte fragile come un’icona in legno
dipinta seicento anni fa, ma sono state date anche tutte le garanzie per la necessaria protezione e conservazione.
Anche i cattolici e i riformati che in tempi recenti hanno scoperto questa icona la venerano e nelle loro chiese è sovente presente.. Semplici fedeli, monaci e
monache, sono esultanti per questo ritorno dell’icona alla Lavra di San Sergio e sono già previsti
pellegrinaggi da tutta la Russia perché questa icona nella loro coscienza, come ha intuito Tarkovskij
nel suo film Andrej Rublev, ha riconsegnato la loro storia tra guerra e pace, tra persecuzione e
libertà. Ma anche questa disputa intorno al ritorno dell’icona al monastero indica bene come noi e i
russi non siamo contemporanei.